Prof decapitato, in scuole italiane antiterrorismo monitora studenti islamici

Vox
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Dopo la decapitazione del professore francese accusato dai suoi alunni di essere ‘islamofobo’, non dimentichiamo che anche in Italia sono nelle nostre scuole. E ci odiano.

I figli degli immigrati islamici sono nelle nostre scuole, con i vostri figli, il terrorismo islamico assume particolare importanza nel mondo della scuola, dove il proselitismo da parte dei jihadisti è particolarmente elevato.

Non lo dice Vox, lo dice l’Antiterrorismo che ormai da un paio di anni ha alzato il livello di allarme e monitoraggio della situazione all’interno degli edifici scolastici. Tutto, perché ‘loro’ sono tra noi.

In collaborazione con il personale scolastico, i servizi di intelligence tentano di tenere sotto costante controllo ogni tipo di atteggiamento da parte dei figli degli immigrati che possa far sorgere anche il minimo sospetto.

Quello delle seconde generazioni, come insegnano Francia, Belgio e Inghilterra è un settore dove è forte il rischio di radicalizzazione. Non a caso i servizi di intelligence del dipartimento antiterrorismo sono in costante contatto con i vari uffici Digos anche per ricevere informazioni e denunce da parte dei dirigenti scolastici sulla segnalazione di eventuali comportamenti deviati da parte degli studenti.

Ricorderete il suo caso:

Piccolo terrorista islamico è già tornato a scuola!

I casi di giovani islamici che si danno al terrorismo sono relativamente numerosi anche in Italia, nonostante il numero deglii immigrati di seconda generazione non sia ai livelli francesi: Muhammad Jarmoune, Anass El Abboubi, Idris Elvis Elezi, Halili el Mahdi, sono solo alcuni dei casi. I predicatori radicali sono spesso ottimi osservatori e sanno bene che “tasti” toccare per riuscire a indottrinare e manipolare i giovani.

Lo si è visto in territorio italiano con Bilal Bosnic, il predicatore bosniaco finito in carcere a Sarajevo nel settembre del 2014 e accusato di aver reclutato per l’Isis tre balcanici residenti nel nord-est.

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Il percorso di radicalizzazione può però partire anche dall’iniziativa dello stesso individuo e non necessariamente dall’opera di un soggetto dedito all’indottrinamento. Sono molti infatti i casi di figli di immigrati che si mettono in contatto con i terroristi islamici grazie al web, dove è disponibile una quantità impressionante di materiale islamista radicale e jihadista ma anche attraverso contatti con “confratelli”, magari anch’essi agli inizi del percorso radicale.

I social sono questo: esasperano i ciò che già esiste. Nulla si crea, e nulla si distrugge. Non è colpa dei social, che almeno mettono in evidenza il problema, è colpa del problema. E il problema è demografico: sono tra noi e non possiamo convivere sullo stesso territorio.

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In Italia non ci sono stati attentati e si corrono meno rischi perché non ci sono le banlieue come in Francia e Belgio. Questo perché le seconde e terze generazioni sono ancora relativamente meno numerose rispetto al resto d’Europa.

Ma i ricongiungimenti familiari ci stanno facendo scalare la classifica in fretta: ne entrano oltre 200mila l’anno. Così ecco nascere quartieri-ghetto in molte città tra cui Roma, Milano, Bologna, Torino, Genova, Padova, giusto per citarne alcune.

Quartieri nei quali regna l’illegalità, il degrado, situazioni abitative irregolari, luoghi dove i controlli sono spesso carenti e dove si crea un humus estremamente fertile alla radicalizzazione. Un mondo sommerso difficile da monitorare. Impossibile da monitorare, perché il terrorista non vive per aria, ha radici e connivenze nella propria comunità di riferimento: niente islamici, niente terroristi islamici.

Un esempio concreto nel contesto milanese è la zona San Siro, precisamente piazzale Selinunte e tutto quel reticolato di strade che vi si estendono attorno, tristemente ribattezzato “il quadrilatero della paura” a causa del degrado e dell’altissimo tasso di delinquenza. Via Paravia, via Tracia, via Maratta, via Gigante, giusto per citarne alcune. Palazzoni malmessi dell’Aler, dei veri e propri labirinti nei quali, in certi casi, è possibile accedere anche attraverso entrate “secondarie” che passano attraverso le cancellate. Edifici caratterizzati da un altissimo tasso di abusivismo, quasi 3.400 alloggi su 38.500 secondo le ultime stime, il ben noto racket degli appartamenti sfitti.

Maghrebini che entrano ed escono dalle macellerie islamiche della zona, dai portoni dei palazzi a tutte le ore del giorno e della notte, altri che si muovono tra i pochi bar circostanti, il parco giochi che di ludico ha oramai ben poco.

Il venerdì mattina è possibile vedere molti fedeli avviarsi verso il Palasharp per la jumma, la preghiera del venerdì, anche se alcuni residenti affermano di averne visto diversi infilarsi in dei portoni, ipotizzando la presenza di qualche sala di preghiera abusiva. Sul piano della sicurezza la zona di piazzale Selinunte è una vera e propria bomba ad orologeria perché presenta tutte le caratteristiche di una banlieue e non è certo un caso che ben due attentatori, il libico Mohammed Game e il marocchino Nadir Benchofri, fossero alloggiati proprio qui. Questo è solo uno dei teatri del milanese, ma su scala nazionale il panorama diventa ben più ampio e allarmante.

E sono sempre di più. Per questo è urgente abrogare la legge sui ricongiungimenti familiari. E’ così che arrivano i futuri terroristi islamici.

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4 pensieri su “Prof decapitato, in scuole italiane antiterrorismo monitora studenti islamici”

  1. Chi più chi meno sono tutti terroristi, devono andarsene, non restare sulle nostre spalle, ci teniamo scorpioni nelle mutande!

  2. L’islam in Italia è una bomba a orologeria. Eppure continuano a fare entrare i musulmani come se non ci fosse nessun rischio. Non si rendono conto che con gli attentati terroristici potranno morire anche i loro figli

I commenti sono chiusi.