All’ex Moi, palazzine olimpiche occupate da un’orda di abusivi, per lo più spacciatori ma anche stupratori, nulla è cambiato. Ce lo racconta il giornale locale CronacaQui.
Infatti, sgombrate le cantine dove si facevano affari – loschi – di ogni genere, il progetto che avrebbe dovuto condurre ad una graduale evacuazione – con gli abusivi premiati con case popolari o ‘social housing’ – con relativo recupero delle strutture, si è fermato.
E il perché è semplice: l’ufficio di chi presiedeva allo sgombero è stato infatti più devastato, le carte scomparse tra i mobili distrutti e la politica ha scelto la strada che conosce meglio: l’inerzia. Tutto come prima, con una piccola eccezione rappresentata dall’arresto dei tre caporioni della rivolta, un tizio del Ciad e due che si dichiarano provenienti dal Niger.
In realtà i tre altro non erano che i gestori di un bar, di un market e dei magazzini di merce di dubbia provenienza. Insomma tre imprenditori in nero (scusate il termine) che con lo sgombero si sarebbero ritrovati senza clienti. Di qui la dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno che ormai tolleriamo di tutto. Dallo spaccio al commercio illegale, passando per il furto e la ricettazione.
Come se quelle palazzine fossero un’enclave dentro la città dove allo scafista di turno viene persino offerto da subito il ruolo di capo popolo. L’inchiesta della Digos dovrebbe farci capire che l’unica cosa da fare sarebbe quella di sgombrare e subito questa gentaglia, impedendo poi successive occupazioni. Ma nessuno dà l’ordine, mentre – a parole s’intende – ci si sgola a parlare di sicurezza. Soprattutto in campagna elettorale.
Del resto i servizi britannici ci avevano avvisato:
Droga, armi e profughi: le città italiane in mano ai Nigeriani