Antiterrorismo monitora studenti islamici: la marea musulmana

Vox
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Gridiamolo anche ai nostri politici: «Non ripetete parole!» perché noi delle parole non ne possiamo più. Non avete il diritto, parlando sempre di come diventeremo ricchi, di ucciderci nell’anima, di strapparci la nostra terra, la nostra cultura, la nostra religione. Avete giurato di essere fedeli all’Italia, non al mondo intero. Cominciate oggi. Neanche un immigrato in più, niente permessi di soggiorno, niente rifugiati, nulla. In Italia non c’è più posto per nessuno.

Visto che il governo non vuole abrogare i ricongiungimenti familiari, non dimentichiamo che sono nelle nostre scuole. E ci odiano. E ne arrivano duecentomila l’anno. Col mezzo milione che arriverà con i decreti flussi, ne arriveranno trecentomila l’anno attraverso i ricongiungimenti familiari.

I figli degli immigrati islamici sono nelle nostre scuole, con i vostri figli: parliamo di quasi mezzo milione di individui, un esercito ostile.

Il terrorismo islamico assume particolare importanza nel mondo della scuola, dove il proselitismo da parte dei jihadisti è particolarmente elevato.

Non lo dice Vox, lo dice l’Antiterrorismo che ormai da un paio di anni ha alzato il livello di allarme e monitoraggio della situazione all’interno degli edifici scolastici. Tutto, perché ‘loro’ sono tra noi.

# L’Intelligence Italiana e il Monitoraggio nelle Scuole per il Contrasto al Terrorismo Islamico

Nel contesto di crescente minaccia del terrorismo islamico ‘grazie’ al massiccio aumento della presenza islamica in Italia, la nostra intelligence sta intensificando da anni i suoi sforzi per prevenire la radicalizzazione e il reclutamento di giovani potenziali jihadisti. Un’area di particolare interesse è il mondo della scuola, dove il rischio di reclutamento da parte dei jihadisti è particolarmente alto.

## Il Rischio di Radicalizzazione tra i Giovani Immigrati di Seconda Generazione

Gli investigatori ritengono che il pericolo di manipolazione e radicalizzazione sia maggiore tra i giovanissimi, in particolare tra gli immigrati di seconda generazione più che tra quelli di prima generazione.

Questo gruppo di età è particolarmente vulnerabile alle tattiche di reclutamento dei gruppi terroristici islamici, che spesso sfruttano la loro ricerca di appartenenza per indurli a unirsi alla loro causa.

## Il Ruolo dell’Antiterrorismo nelle Scuole

Per questo motivo, l’antiterrorismo italiano sta prestando particolare attenzione al monitoraggio della situazione all’interno degli edifici scolastici. Questo non solo include la sorveglianza fisica, ma anche l’analisi dei comportamenti e delle attività online dei giovani islamici.

## La Collaborazione del Personale Scolastico

Un elemento chiave di questa strategia è la collaborazione del personale scolastico. Gli insegnanti e gli amministratori scolastici sono spesso in una posizione unica per notare cambiamenti nel comportamento o nelle attitudini dei loro studenti che potrebbero indicare un processo di radicalizzazione.

I servizi di intelligence, grazie a questa collaborazione, tentano di tenere sotto costante controllo ogni tipo di atteggiamento da parte dei ragazzi islamici che possa far sorgere anche il minimo sospetto a riguardo. Questo può includere l’isolamento dai coetanei, un interesse improvviso per argomenti estremisti o cambiamenti nel comportamento o nell’abbigliamento.

## Conclusione

Quello delle seconde generazioni, come insegnano Francia, Belgio e Inghilterra è un settore dove è forte il rischio di radicalizzazione. Non a caso i servizi di intelligence del dipartimento antiterrorismo sono in costante contatto con i vari uffici Digos anche per ricevere informazioni e denunce da parte dei dirigenti scolastici sulla segnalazione di eventuali comportamenti deviati da parte degli studenti.

Ricorderete il suo caso:

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Piccolo terrorista islamico è già tornato a scuola!

I casi di giovani islamici che si danno al terrorismo sono relativamente numerosi anche in Italia, nonostante il numero deglii immigrati di seconda generazione non sia ai livelli francesi: Muhammad Jarmoune, Anass El Abboubi, Idris Elvis Elezi, Halili el Mahdi, sono solo alcuni dei casi. I predicatori radicali sono spesso ottimi osservatori e sanno bene che “tasti” toccare per riuscire a indottrinare e manipolare i giovani.

Lo si è visto in territorio italiano con Bilal Bosnic, il predicatore bosniaco finito in carcere a Sarajevo nel settembre del 2014 e accusato di aver reclutato per l’Isis tre balcanici residenti nel nord-est.

Il percorso di radicalizzazione può però partire anche dall’iniziativa dello stesso individuo e non necessariamente dall’opera di un soggetto dedito all’indottrinamento. Sono molti infatti i casi di figli di immigrati che si mettono in contatto con i terroristi islamici grazie al web, dove è disponibile una quantità impressionante di materiale islamista radicale e jihadista ma anche attraverso contatti con “confratelli”, magari anch’essi agli inizi del percorso radicale.

I social sono questo: esasperano i ciò che già esiste. Nulla si crea, e nulla si distrugge. Non è colpa dei social, che almeno mettono in evidenza il problema, è colpa del problema. E il problema è demografico: sono tra noi e non possiamo convivere sullo stesso territorio.

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In Italia non ci sono stati attentati e si corrono meno rischi perché non ci sono le banlieue come in Francia e Belgio. Questo perché le seconde e terze generazioni sono ancora relativamente meno numerose rispetto al resto d’Europa.

Ma i ricongiungimenti familiari ci stanno facendo scalare la classifica in fretta: ne entrano oltre 200mila l’anno. Così ecco nascere quartieri-ghetto in molte città tra cui Roma, Milano, Bologna, Torino, Genova, Padova, giusto per citarne alcune.

Quartieri nei quali regna l’illegalità, il degrado, situazioni abitative irregolari, luoghi dove i controlli sono spesso carenti e dove si crea un humus estremamente fertile alla radicalizzazione. Un mondo sommerso difficile da monitorare. Impossibile da monitorare, perché il terrorista non vive per aria, ha radici e connivenze nella propria comunità di riferimento: niente islamici, niente terroristi islamici.

Un esempio concreto nel contesto milanese è la zona San Siro, precisamente piazzale Selinunte e tutto quel reticolato di strade che vi si estendono attorno, tristemente ribattezzato “il quadrilatero della paura” a causa del degrado e dell’altissimo tasso di delinquenza. Via Paravia, via Tracia, via Maratta, via Gigante, giusto per citarne alcune. Palazzoni malmessi dell’Aler, dei veri e propri labirinti nei quali, in certi casi, è possibile accedere anche attraverso entrate “secondarie” che passano attraverso le cancellate. Edifici caratterizzati da un altissimo tasso di abusivismo, quasi 3.400 alloggi su 38.500 secondo le ultime stime, il ben noto racket degli appartamenti sfitti.

Maghrebini che entrano ed escono dalle macellerie islamiche della zona, dai portoni dei palazzi a tutte le ore del giorno e della notte, altri che si muovono tra i pochi bar circostanti, il parco giochi che di ludico ha oramai ben poco.

Il venerdì mattina è possibile vedere molti fedeli avviarsi verso il Palasharp per la jumma, la preghiera del venerdì, anche se alcuni residenti affermano di averne visto diversi infilarsi in dei portoni, ipotizzando la presenza di qualche sala di preghiera abusiva. Sul piano della sicurezza la zona di piazzale Selinunte è una vera e propria bomba ad orologeria perché presenta tutte le caratteristiche di una banlieue e non è certo un caso che ben due attentatori, il libico Mohammed Game e il marocchino Nadir Benchofri, fossero alloggiati proprio qui. Questo è solo uno dei teatri del milanese, ma su scala nazionale il panorama diventa ben più ampio e allarmante.

E sono sempre di più. Per questo è urgente abrogare la legge sui ricongiungimenti familiari. E’ così che arrivano i futuri terroristi islamici.

Prendiamocela con noi stessi, con i nostri politici, con le nostre gerarchie religiose se oggi ci troviamo di fronte a una così drammatica situazione, non con loro. Né si dica (cosa che spesso si sente dire) che gli immigrati debbono imparare a rispettare le nostre leggi, le nostre consuetudini, i nostri valori: le culture sono una diversa dall’altra proprio in questi aspetti, non in altri. Possono imparare ad andare in orario al posto di lavoro anche se la percezione del tempo è diversa da cultura a cultura; possono imparare, sia pure con molta fatica, a parlare la nostra lingua, a mangiare qualcuno dei nostri cibi, a vestirsi come noi, ma i tratti che fondano una cultura non si possono cambiare. E non esiste cultura senza religione, o meglio: sono le religioni che fondano le culture.

Questo significa che siamo noi a dover agire. Prima di tutto prendendo coscienza che, per quanto laica sia la nostra società, si fonda su valori che, già presenti nella romanità, sono stati forgiati dal cristianesimo e rimangono a fondamento della nostra convivenza civile anche quando non ci accorgiamo più della loro origine cristiana. Credenti oppure no, dunque, non possiamo lasciar prevalere l’islamismo senza perire. Anche se accettassimo di diventare musulmani, o vi fossimo costretti, questo significherebbe ugualmente la fine della nostra civiltà.

Nessuno si faccia illusioni in proposito. L’islamismo è una religione forte, vitale e inflessibile (non ha la Grecia, Roma e Gesù di Nazaret dietro di sé).

Né si guardi agli Stati Uniti d’America come esempio di luogo dove convivono razze, popoli e religioni diverse. L’America possiede un territorio immenso, cosa che già di per sé permette di non sentire l’acqua alla gola davanti alle diversità, come succede invece a noi con il nostro spazio ristrettissimo. Poi, essendo tutti in origine degli immigrati, gli americani non si trovano nella condizione di invasi e sopraffatti nella propria terra, nel proprio Paese, nella propria casa. Infine, tanto per dire la verità fino in fondo, bisogna togliersi dalla testa che l’America sia il paradiso delle etnie: la conflittualità negli Stati Uniti è fortissima, e lo è proprio per tutti quei motivi di cui da noi non si vuol sentir parlare come la razza, la cultura, il Paese di provenienza, la religione, la classe sociale, la ricchezza e così via. Dunque, non abbiamo più un minuto da perdere.

Gridiamolo anche ai nostri politici: «Non ripetete parole!» perché noi delle parole non ne possiamo più. Non avete il diritto, parlando sempre di come diventeremo ricchi, di ucciderci nell’anima, di strapparci la nostra terra, la nostra cultura, la nostra religione. Avete giurato di essere fedeli all’Italia, non al mondo intero. Cominciate oggi. Neanche un immigrato in più, niente permessi di soggiorno, niente rifugiati, nulla. In Italia non c’è più posto per nessuno. Non aiuteremo il mondo lasciando morire la nostra civiltà, la bellezza della nostra musica, della nostra arte, della nostra poesia, al contrario. Il mondo sarà infinitamente povero senza l’Italia. La Chiesa sarà infinitamente povera senza l’Italia.