Prosek croato verso ok Ue, dopo l’Istria la Croazia ci ruba anche il Prosecco

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Se ci fossimo accordati con Milosevic ci saremmo ripresi l’Istria. Che è e sempre sarà italiana. Invece ora perdiamo anche il Prosecco.

Il Prosek al centro di un caso tra Italia, Croazia e Unione Europea. La decisione della Commissione europea di procedere alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Ue della domanda di registrazione della menzione tradizionale ‘Prosek’ agita infatti l’Italia, vista la somiglianza tra i nomi Prosek e Prosecco che potrebbe trarre in inganno i consumatori e danneggiare il vino italiano. Secondo Coldiretti, il via libera Ue al prosek croato “contraddice anche in maniera clamorosa la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha dichiarato illegittimi proprio i nomi truffa che evocano in modo strumentale ed ingannevole prodotti a denominazione di origine riconosciuti e tutelati dall’Unione Europea come la star delle bollicine italiane”.

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Per il sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni “è inaccettabile un eventuale utilizzo della dicitura Prosek da parte della Croazia”. “Io stessa, in qualità di sottosegretario con delega all’Unesco, avevo scritto una lettera mesi fa indirizzata al commissario europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale Wojciechowski, spiegando che l’iscrizione delle colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene nella lista del Patrimonio Mondiale sancisce, con forza, l’assoluta identità culturale tra la denominazione prosecco e il suo territorio. A nulla valgono le rassicurazioni della Commissione- continua Borgonzoni- secondo cui il ‘prosek croato’ non avrebbe nulla in comune con il nostro Prosecco. Il rischio di confusione, contraffazione è alto. Scriverò una nota alla direttrice generale Unesco per spiegare la gravità della possibile scelta. Sarebbe come riconoscere un altro sito archeologico nominato Colosseo. Il nostro Prosecco è il frutto di una vocazione naturale e di una cultura produttiva stratificata nei secoli e deve essere preservato e tutelato nella sua totale integrità”.

Sul punto è intervenuto oggi anche il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, per il quale “il Prosek è una vergogna assoluta”. “Il ministro dovrebbe andare a piantare una tenda davanti alla sede della Ue a Bruxelles per protestare vivacemente”, ha detto il governatore veneto, ricordando “che l’Unesco ha nominato ufficialmente nel 2019 le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene patrimonio dell’umanità”. Per questo, secondo Zaia, “il governo deve battere un colpo e forte, e noi siamo pronti, al suo fianco, ad una causa colossale contro questa iniziativa, perché ci stanno scippando un brand importante del nostro Paese, è come che volessero portarci via la Ferrari”.

Un Paese serio avrebbe approfittato del crollo jugoslavo per riprendersi la propria terra.




4 pensieri su “Prosek croato verso ok Ue, dopo l’Istria la Croazia ci ruba anche il Prosecco”

  1. L’Italia a livello politico non conta un cazzo, questa è la verità. Una nazione di 60 milioni che si fa sopraffare così da una che ne ha appena 7 milioni, è una cosa assurda.

      1. Non so se come operazione ha senso, visto che Tito & C. hanno de-italianizzato quelle aree 74 anni fa. Nell’Istria di oggi solo il 4% della popolazione è etnicamente italiano, una percentuale troppo bassa per giustificare un’eventuale ri-annessione della regione all’Italia. Sono tutti slavi, per non parlare poi di Fiume (che pure in italiano oggi viene chiamata Rijeka😠, come se dal 1919 al 1947 non fece parte dello Stato italiano) e di Zara, dove l’elemento italico è stato completamente cancellato.

        Io sono dell’idea che l’Istria, Fiume e Zara, le abbiamo perse più per causa nostra che per gli altri. Mi spiego meglio, è noto che ci fu un atteggiamento rinunciatario da parte di De Gasperi alla Conferenza di Parigi, ma si spiega in una sola maniera: la presenza ingombrante del PCI di Togliatti come componente del governo di unità nazionale, che come sappiamo assecondava in pieno il panslavismo di Tito, appoggiato dall’URSS, che chiedeva anche l’annessione alla Jugoslavia delle province di Trieste e Gorizia. In un’intervista a Il Piccolo di Trieste del 2004, Andreotti dichiarò che “Togliatti a Parigi non frequentava l’ambasciata italiana”, e quindi ti lascio immaginare quale frequentava, quella dello Stato di cui era cittadino dal 1930 (l’URSS), perché “gli italiani sono un popolo di mandolinari”. Era perciò impossibile pensare di trattenere quei territori a causa del PCI, ma anche perché eravamo nazione sconfitta nella guerra. Tra l’altro, a De Gasperi era stato proposto di rinunciare all’Alto Adige e di cederlo all’Austria per mantenere integro il confine orientale, strada che a mio modesto avviso sarebbe stato giusto percorrere. In Istria (65%), Fiume (57%) e Zara (90%) gli italiani erano maggioranza della popolazione, mentre invece in Alto Adige erano appena il 23%, e risultato di una snazionalizzazione operata dal regime fascista con l’immigrazione forzata di persone provenienti da altre regioni, in particolare Veneto e Trentino. Invece, volendo a tutti i costi mantenere una zona popolata prevalentemente da germanici, 350 mila persone che vivevano in quelle terre da secoli furono costrette all’esodo. E diverse di queste emigrarono proprio in Alto Adige, dove negli anni sessanta la popolazione italofona sarebbe aumentata di consistenza arrivando ad 1/3 della popolazione. Invece sarebbe stato meglio mantenere Istria, Fiume e Zara, e favorire l’insediamento di quel 23% di italiani dell’Alto Adige.

        L’Italia non seppe neanche approfittare della rottura tra DC e PCI, e di quella tra Tito e Stalin per riconquistare quei territori, e ci dovettimo accontentare di riprenderci la sola Trieste nel 1954.

        1. “dove l’elemento italico è stato completamente cancellato.”

          E avverrà anche dentro i nostri confini.

          Purtroppo era fin troppo matematico che uno stato molto debole come quello italiano repubblicano fosse costretto non solo a rinunciare ad allargarsi verso est, ma anche mantenere l’italianita in quei territori.
          Chiunque abbia lavorato per cercare di rendere l’Italia una nazione, emancipandola dal punto di visto politico o energetico ha fatto una brutta fine: Moro, Mattei e altri insegnano.

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