Il “bonus monopattino” è un regalo da 120 milioni alla Cina

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I rapporti tra M5s e governo cinese sono sempre più evidenti ed inquietanti. L’ultimo caso, tra il serio e il ridicolo, è quello dei monopattini.

Se vi siete chiesti il perché l’ossessione grillina per il “bonus monopattino”, è perché, in realtà, è il “bonus cinese”.

Il governo ha stanziato 120 milioni di euro per farci andare tutti in monopattino.
Quanti di questi soldi andranno alle industrie italiane? Quasi zero. Andranno praticamente tutti alla Cina.

Il bonus monopattino può coprire fino al 60% del prezzo del mezzo acquistato e comunque fino ad un tetto massimo di 500 euro.

I mezzi devono essere acquistati dal 4 maggio 2020 ed entro il 31 dicembre 2020. Tranne che per le biciclette, il resto dei mezzi vede il monopolio assoluto della Cina.

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Xiaomi, cinese, detiene il 39% della quota, al momento bassa, del mercato italiano. Il resto Segway, fondata da un americano, ma diventata cinese nel 2009 e altre case cinesi.

Ci sono produttori italiani? Apparentemente sì. Nilox, Nito e Vivobike si presentano infatti come marchi Made in Italy. Ma, a onor del vero, curano solo progettazione e distribuzione. Infatti, la produzione effettiva dei monopattini elettrici avviene in Cina. In Italia non esiste un impianto di produzione dei monopattini sia per gli enormi costi fiscali, sia per gli enormi costi derivanti dalla spedizione delle materie prime proprio dalla Cina.

Confindustria ha protestato perché non c’è stata nessuna agevolazione per motorini e moto. Un settore più tecnologicamente evoluto, dove Pechino non è competitiva. E quindi al M5s non interessa.

Ripetiamo: c’è qualcuno che vuole indagare sui rapporti tra il governo comunista di Pechino e il M5s?

“Come mai l’Italia è l’unico Paese, pur essendo stato il primo e il più colpito, nel consesso occidentale” a non chiedere chiarimenti alla Cina?, si è domandato Urso, FdI, durante la presentazione del Rapporto Conoscere per deliberare – La sfida cinese e la posizione della Repubblica italiana della Fondazione Farefuturo, guidata dallo stesso ex finiano. A curare il report è stato un altro ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, insieme a Laura Harth.

“Germania, Francia, Gran Bretagna, Usa, Australia, Nuova Zelanda, perfino l’India hanno protestato e chiesto chiarimenti sull’origine del virus, la modalità di diffusione del contagio e le informazioni date dal governo cinese”, ha sottolineato Urso aggiungendo che l’Italia “si è limitata a farsi cassa da risonanza e megafono della propaganda cinese”. “Non c’è stata nessuna risposta – ha concluso – ma appare strano a tutti che l’Italia non abbia mai osato chiedere chiarimenti al governo cinese su quanto accaduto”.




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