Bologna, contagiato si trascina in ospedale da solo: non volevano ricoverarlo

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Lo abbiamo già scritto, nonostante le castronerie scritte dagli analisti di Harvard, in Emilia Romagna c’è ad oggi la peggiore situazione italiane riguardo l’epidemia di coronavirus. Dall’inizio i morti sono più dei guariti. L’unica grande regione italiana con questo scostamento che è durato fino a ieri.

L’odissea di Roberto Castro comincia due settimane prima del suo ricovero all’ospedale Covid-Bellaria. Quindici giorni in cui il 44enne sistemista informatico di Casalecchio di Reno denuncia di avere atteso invano un tampone domiciliare. «Il mio medico ha provato a sollecitare l’intervento dell’Asl di Casalecchio in tutti i modi, non si è mai visto nessuno», dice ora che sta meglio.

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Febbre alta – La vicenda riportata dal Corriere – – La febbre e gli altri sintomi li aveva lui e anche il figlio di 7 anni. Debilitato e preoccupato, dopo tanta attesa «il dottore mi dice: “a questo punto vai al pronto soccorso”». Al Maggiore, con tutti i rischi del caso. Era il 17 marzo quando inizia a stare male. Solo mercoledì scorso, finalmente, il verdetto: tampone positivo, si va al Bellaria. Roberto ha la polmonite, ora però sta meglio e ha recuperato le forze. La via d’uscita è lì, anche se l’incertezza non è finita. Perché al bimbo l’esame viene fatto soltanto due giorni fa, ed è ancora in attesa del risultato. Dalla positività o meno del piccolo dipenderà il suo rientro a casa o la quarantena in una struttura Covid-resort. Alla compagna, che non ha sintomi, invece nulla.«Una cosa vergognosa», dice dal suo letto del Bellaria.

Comincia tutto il 17 marzo, l’informatico torna da lavoro e non si sente bene: 37,5 di febbre. Il giorno dopo 38. In breve tempo il virus lo aggredisce con forza, la tachipirina non serve, smette di mangiare e di bere, perde 7 chili. A questo aggiunge la preoccupazione per il terzogenito, anche lui ha febbre e tosse, il pediatra abbozza un aerosol che non serve. Passa una settimana e poi anche la seconda. «A casa malato, avevo i sintomi, eppure non sono mai venuti. Ci hanno preso in giro», dice il 44 enne, volontario soccorritore della pubblica assistenza di Sasso Marconi, intervenuto subito dopo il terremoto dell’Aquila e quello in Emilia.

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«Ho provato ad attivare chi potevo, di mettermi in contatto con il sindaco di Casalecchio. Non c’è stato niente da fare». Dopo oltre dieci giorni senza risposte — «ho chiamato anche il numero di emergenza 1500, ma potevano confermare solo che serviva l’intervento dell’Asl» — sabato scorso rompe gli indugi. «Sono salito su per la rampa d’ingresso delle ambulanze del Maggiore, non stavo in piedi. Dai primi esami i livelli di saturazione del sangue non erano buoni. Mi hanno ricoverato, fatto il primo tampone domenica»: negativo. «Non erano riusciti a prelevare abbastanza materiale. Intanto mi trattavano già come caso di Covid-19, plaquenil e antibiotico la terapia».

Martedì ripete l’esame, stavolta positivo, e il giorno dopo lo mandano al Bellaria. «Qui va meglio, al Maggiore invece è una catastrofe. Vedevo uscire le bare una dopo l’altra. Si dimenticavano di darmi la terapia, dovevo stare in completo isolamento, alzarmi per prendere le medicine dietro la porta, misurarmi la febbre e urlare la temperatura a chi ascoltava da fuori». Accertata la positività, hanno chiamato il bimbo per il tampone. «Ora abbiamo due amici a Casalecchio nella stessa situazione, hanno avvertito i sintomi poco dopo di me, ancora nessuno è andato a casa loro».




Un pensiero su “Bologna, contagiato si trascina in ospedale da solo: non volevano ricoverarlo”

  1. Si spiegano così i cali delle degenze. Rimangono in casa a morire. Ma la moglie che è sana che parte ha nella storia?

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