Ma voli lo sapevate che ci sono scritte in arabo sui cartelli dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna?
E il consigliere regionale leghista Daniele Marchetti ha presentato alla Giunta dell’Emilia Romagna una risoluzione che ne chiede la rimozione.
“Indicare, nelle linee guida del Sistema sanitario regionale, la lingua inglese come unica lingua integrativa all’italiano da inserire nelle nuove installazioni segnaletiche dei nosocomi della regione”.
“In quasi tutti i Paesi europei l’inglese è la lingua straniera più insegnata negli istituti di istruzione primaria e secondaria”, spiega il leghista.
E “la semplificazione è una delle strade da intraprendere per migliorare l’efficienza comunicativa e l’integrazione tra cittadini italiani e cittadini stranieri che fruiscono del nostro servizio sanitario”.
“La volontà di indurre immigrati da Paesi arabi a usare l’inglese rappresenta anche uno strumento in grado di facilitare la loro integrazione nella nostra società”.
La replica: “La maggior parte dei cittadini stranieri che afferiscono al Policlinico parlano quella lingua (circa il 20% nel 2009)”, per questo “il Policlinico ha elaborato un progetto di facilitazione degli accessi ai cittadini di lingua e cultura diversa da quella italiana, anche nell’ambito di un progetto regionale per la riduzione delle disuguaglianze”.
Il problema non sono nemmeno tanto le scritte, quanto che il 20% di chi frequenta l’ospedale sia arabo. Questo è il problema.
A mio avviso sono fuori luogo anche le scritte in inglese.
Intendiamoci, l’inglese è una lingua degna come tutte le altre e mi sta pure bene che venga intesa come una sorta di “lingua franca” per tacita accettazione internazionale, però è mia convinzione che chi si reca in un luogo DEBBA avere una conoscenza almeno di base della lingua locale. E, ben inteso, vale anche per gli Italiani all’estero (compresi quelli che si recano in Nord Africa, in Medioriente o in Cina — che imparino prima la lingua del posto, oppure restino a casa loro). Tutto questo girovagare è un danno colossale, non un’opportunità come vorrebbero farci credere.