Scatta la disinfestazione nel dormitorio dei migranti

Vox
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Da questa mattina (6 aprile), diversi operatori della Brindisi Multiservizi e dell’Ecologica pugliese sono al lavoro, all’interno del centro di accoglienza di via Provinciale per San Vito, per pulire e disinfestare gli spazi adibiti ad alloggio per circa 200 extracomunitari. Un intervento dovuto, vista la mole di rifiuti che in poco tempo ha occupato gli spazi esterni del dormitorio: materassi, divani, oggetti personali, chili e chili di oggetti appartenenti agli occupanti e riversati nel cortile. Un intervento pagato dai contribuenti, ovvio. I clandestini occupano abusivamente una struttura, i cittadini pagano.

 

La situazione non è delle più semplici, l’intervento di pulizia è partito da questa mattina, l’intero dormitorio è vuoto, gli immigrati, per lo più, si trovano nelle campagne del brindisino per lavoro, altri saranno a spacciare, ma cosa accadrà, questa sera, al loro rientro? Tutto dovrebbe essere finito, dicono dal Comune, dove era andata in scena la protesta pochi giorni fa, quando un centinaio di extracomunitari avevano manifestato davanti i cancelli di piazza Matteotti perché il centro ‘apre tardi’.

“Il fatto che si intervenga per garantire una stato di sicurezza e ripristinare una situazione igienico sanitario almeno sufficiente è sacrosanto – dichiara a Brindisireport.it Angelo Leo, segretario Flai Cgil, presente quest’oggi durante l’intervento di pulizia – ma i problemi sono anche altri: è vero che all’interno del dormitorio vivono più persone delle 80 previste, ma adesso che il centro accoglienza, almeno per la giornata di oggi, non potrà accogliergli, dove andranno?”. Questi sporcano, e noi dobbiamo pulire: è sacrosanto.

Bisogna tenere presente che molti ospiti del centro possiedono un regolare permesso di soggiorno, quindi sono liberi cittadini e non possono essere spostati a piacimento, mentre i restanti (circa 100, ndr) che non possiedono regolare permesso si troveranno nella situazione di cercare un riparo per la notte. “Dovranno adattarsi, dormire per strada, nei casolari di campagna fatiscenti e pericolosi, come è accaduto in passato – continua il sindacalista Leo – è necessario trovare una soluzione, anche perché, alcune responsabilità sono anche da attribuire a chi dà lavoro, in forma irregolare, a queste persone, costringendole a vivere in uno stato di illegalità”.

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Parole pazzesche. La puntata precedente:  CLANDESTINI PROTESTANO PERCHÉ “DORMITORIO APRE TROPPO TARDI”

Circa sessanta clandestini nordafricani, quasi tutti richiedenti asilo, ma che all’asilo non hanno diritto, hanno inscenato una protesta davanti alla sede del Comune di Brindisi per la modifica degli orari di apertura e chiusura del centro di Brindisi che li ospita a spese dei contribuenti.

Bizzarra la protesta. Sarebbero costretti a restare fuori dal dormitorio dalle 9 fino alle 19, così come stabilito dalla cooperativa che gestisce la struttura. Molti di loro lavorano nei campi come braccianti agricoli, sostituendo i pochi locali rimasti o costringendoli a paghe da fame e orari da incubo, e quindi esigono di rientrare nel dormigorio nel primo pomeriggio.

Hanno richiesto asilo, ma pare che stiano sostituendo lavoratori locali nei campi (proibito per legge, ma questi delinquenti fanno quello che vogliono e protestano anche). Delle due l’una: o sono ‘richiedenti asilo’, e allora non possono lavorare e quindi vengano espulsi; oppure non lo sono, e allora non si capisce perché dobbiamo mantenerli in un dormitorio. Se lavorano, affittino case come gli italiani.

Ma il problema è che hanno espulso dai campi i lavoratori locali, accettando paghe da fame: con quelle paghe non affitti nessuna casa, quindi i giovani locali non possono accettare qui lavori. I clandestini invece si, perché tanto poi li mantengono i contribuenti. Quindi, stiamo facendo una marchetta agli sfruttatori e ai clandestini a danno dei giovani italiani. Perché non è vero che ‘ci sono lavori che gli italiani non vogliono fare’, ma ‘ci sono lavori che gli italiani non possono fare per certi stipendi da fame’.