Lavoratore italiano abbandonato in strada: Emergency chiede soldi per ospitarlo, Chiesa lo respinge

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Il braccio scoperto e teso, un laccio nero di scarpa stretto sulla parte alta. D. è seduto a terra, sotto l’insegna della lavanderia di via Fiume, una laterale di via Piave a Mestre (Venezia).

Con la mano destra picchietta l’avambraccio, poi impugna una siringa piena. Sta per iniettarsi il liquido, ma sente che qualcuno gli parla e alza la testa.

«Non ho bisogno di niente. Solo della salute. Cosa mi è successo?». D. comincia a raccontare dell’incidente che gli è capitato. «È stato otto mesi fa. Lavoravo al carico-scarico merci al Tronchetto. Mi è caduto addosso un peso di centinaia di chili e mi sono trovato all’ospedale. Lavoravo in nero e non mi hanno riconosciuto niente». Si sposta i pantaloni su un fianco e mostra una cicatrice. «Finché non mi mettono a posto non posso fare niente».

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D. spiega di essere finito in strada perché dopo due mesi di ospedale, quando è tornato a casa a Sant’Erasmo – dove la madre non c’era più perché era stata ricoverata – non avendo più pagato l’affitto si è trovato fuori per morosità. Racconta che il padre non lo vede da quando aveva sette anni e che i suoi nonni non possono aiutarlo perché seguiti da un amministratore di sostegno.

«Certo che vorrei un’alternativa. Emergency mi avrebbe dato un posto ma servono 14 euro e non li ho. In chiesa ho domandato aiuto e mi è stato offerto un pacco di pasta. Ma dove la cucino? In via Giustizia non c’è mai un posto. Quando vado è già tutto pieno, e se adesso chiamiamo il Suem mi portano al Pronto soccorso e poi mi dimettono».

Non c’è posto per gli italiani.