Ong: bucavano i gommoni per fingere i salvataggi

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Per capire come l’obiettivo delle ong non sia salvare ma traghettare clandestini in Italia, è bene leggere le carte dell’inchiesta sulla nave tedesca Iuventa.

Sono i racconti fatti da alcuni clandestini interrogati dai poliziotti della Mobile di Trapani: hanno descritto contatti in mare tra trafficanti e equipaggi delle ong. Trafficanti salutati amichevolmente al momento della fine del trasbordo.

I verbali, dove si fanno i nomi di alcuni trafficanti libici, fanno parte del fascicolo dell’indagine per immigrazione clandestina che ha portato al sequestro della Iuventa, la nave della Ong tedesca Jugend Rettet sequestrata dalla procura di Trapani e sotto sequestro ormai da anni.

I racconti mettono anche in evidenza chi è che si imbarca. Ad esempio Oumar, ivoriano finito in Libia per andare a giocare al calcio, si è ritrovato in mezzo a centinaia di altri aspiranti calciatori in attesa di partire per l’Italia: «Mi hanno detto che per salvarmi avrei dovuto imbarcarmi per l’Italia, se fossi rimasto in Libia sarei finito in carcere». «Ci hanno raccolto di notte su una spiaggia e all’alba siamo partiti. Abbiamo trovato cinque gommoni pronti, sulla spiaggia c’erano diversi libici anche con abiti militari ed armi… uno dei libici sul mio gommone aveva una bussola e un telefono satellitare, lo abbiamo visto parlare al telefono diverse volte, poi è salito su una moto d’acqua guidata da un arabo dopo averci dato la direzione da seguire… ancora poche miglia e davanti a noi ci siamo trovati la nave che veniva a salvarci…». Delle Ong.


Per rendere «veritieri» quei salvataggi c’erano gommoni che partivano dopo essere stati «bucati»
: «Ho visto – ha raccontato Henri, del Camerun – uno di quelli che ci aveva tenuto sotto la minaccia di un lungo coltello, usarlo per bucare il gommone nella parte posteriore e quando a quel punto non volevamo salire più a bordo, ha minacciato di torturarci con un machete; qualcuno di noi è stato ferito». Il gommone sarebbe riuscito così a navigare le poche miglia utili per arrivare alla solita nave delle Ong.

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Un clandestino sub-sahariano ha raccontato di come con tanti altri è riuscito a raggiungere la Iuventa. Si tratta di uno degli episodi che agenti sotto copertura, imbarcati a insaputa dell’equipaggio della Vos Hestia della Ong Save the Children, sono riusciti a documentare con le foto presenti nell’ordinanza di sequestro della Iuventa.

Ma prima delle foto, sul tavolo dei poliziotti durante i colloqui nell’hotspot di Trapani sono arrivate le parole di questo clandestino: «Siamo stati spinti a piedi verso la spiaggia, abbiamo attraversato un cordone di uomini armati, fino ad arrivare ai barconi di legno… abbiamo cominciato a navigare e un barchino con un paio di libici a bordo ci ha affiancati, c’era anche una motovedetta della Guardia costiera libica… non appena siamo stati vicini alla nave, la motovedetta si è allontanata, il barchino è rimasto; quando le barche in legno sono rimaste vuote, i libici, aiutati da alcuni dell’equipaggio, le hanno legate al barchino per trainarle verso terra».

Jeuray, nigeriano, ha raccontato: «Quando navigavamo, siamo stati affiancati da una barca in vetroresina di colore bianco e nero con una persona a bordo… era un arabo e ha navigato per un tratto parallelamente al nostro gommone, indicandoci con il dito la direzione da seguire per raggiungere l’imbarcazione che ci avrebbe poi soccorso». Jeuray fu tra i clandestini raccattati dalla Vos Hestia, quella di Save the Children, ormai trafficanti di adulti. Questo perchè, come si capisce dal rapporto investigativo, la Iuventa, presente in zona, era già carica di altri clandestini, quindi le due Ong collaboravano, complici.

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In alcuni verbali si trovano scritti i nomi dei trafficanti libici. C’è un tale Abdelaziz, «uno che si presentò a noi appena arrivati a Sabratha come un poliziotto», ha riferito il marocchino Charaf. «Si muoveva con uomini armati di pistole e kalashnikov».

A Sabratha c’era anche un libico soprannominato Rambo: «C’era lui a comandare – ha raccontato un camerunense – dentro un campo dove vengono ammassati i migranti, controllati a vista da un cordone di uomini armati distribuiti su tutto il perimetro; erano loro, questi uomini armati, a fare da recinto, noi non potevamo muoverci».

Non sono stati molti i clandestini a parlare con la polizia al momento del loro arrivo a Trapani. Del resto le Ong li avevano istruiti a non aprire bocca: «Tanti – svela un investigatore – sembrava fossero stati istruiti per non dire nulla, silenzi talvolta attribuiti alla stanchezza e alle ore di viaggio estenuanti… come se esista un codice non scritto che i migranti devono seguire».

E c’è ancora qualcuno che li ritiene dei ‘salvatori’ e non dei criminali. Ha ragione il parroco di Sora.




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