Lo dicono i risultati ottenuti dagli studenti, dai test Invalsi delle elementari in poi: vi è un sensibile calo del rendimento.
Insomma, la ‘diversificazione’ etnica danneggia la capacità di apprendimento.
Dove invece le classi sono etnicamente omogenee i risultati sono migliori.
Secondo la ricerca: «La performance scolastica cala quando nelle classi si supera la quota del 30 per cento di stranieri, è una soglia cruciale che dovrebbe essere evitata o comunque monitorata», spiega.
«Qui sono più del 65 per cento gli alunni stranieri. E tanti genitori italiani preferiscono la scuola privata in fondo alla via perché temono problemi nell’apprendimento», racconta Massimo Barrella, preside dell’istituto elementare di Via Dolci a San Siro . «Il tetto del 30 per cento sarebbe opportuno per avere risultati migliori ma è utopistico in questo quartiere — dice —. Per garantire una buona preparazione la scuola impegna tutte le risorse».
Ma come rispondono i presidi a questa emergenza? «Con i fondi per le aree a forte processo immigratorio, settemila euro, abbiamo aggiunto cento ore extra: dal coro multietnico al corso di percussioni africane al corso di arabo. Così si fa integrazione. Anche rafforzando i bambini nella lingua madre, li aiuta nell’apprendimento», spiega Barrella.
Degli italiani, a loro non interessa.
Se quello che evidenzia la riceva è vero, ed è vero, abbiamo un problema:
Un problema che non si risolve certamente diffondendolo per tenere la soglia sotto il 30% , ma evitando che si crei alla fonte: abrogando i famigerati ricongiungimenti familiari. O sarà la fine.