Italiana senza casa: «Vendo rene per sopravvivere, pensano solo a immigrati»

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«Sono disperata al punto di decidere di privarmi di una parte del mio corpo visto che i medici dicono che è comunque possibile vivere normalmente anche con un solo rene. Sono una cittadina italianissima residente a Trento ormai da più di 40 anni, ho fatto tutte le domande possibili per avere qualche aiuto dal comune o dalla provincia, ma non sono risultata idonea ad entrare in qualsiasi programma di aiuto». – comincia così la lettera di una donna di 63 anni residente a Trento che negli ultimi anni per alcune vicissitudini sfortunate della vita è arrivata sull’orlo della disperazione, a tal punto da decidere di vendere un rene per provare a risolvere qualche problema impellente.

A questo punto riceve dal marito 400 euro al mese e 300 di pensione di invalidità per un incidente avvenuto anni prima dove ha perso parzialmente l’uso di un arto. L’affitto che deve sostenere è di 600 euro al mese, praticamente non arriva alla fine del mese se non grazie all’appoggio di qualche amico. Ha due figli, ma entrambi impossibilitati ad aiutarla anche minimamente.

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Antonia spera che la sua situazione duri comunque poco e comincia a fare domande per le case ITEA, per entrare nel «progettone» e per altre possibilità assistenzialistiche. Ma o per una causa o per l’altra vengono sempre rigettate. Alla base – secondo il racconto di Antonia – ci sarebbe l’intestazione di un’autovettura a suo nome vecchia di 4 anni. Questa proprietà la escluderebbe da qualsiasi parametro ICEF e quindi alla possibilità per esempio di accedere agli alloggi a canone moderato o ITEA.

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La situazione crolla completamente quando l’ex marito non riesce più a pagare il mutuo della sua casa e finisce sul lastrico. Antonia non può più fare affidamento nemmeno sui 400 euro mensili che prima il marito le versava. Ora non è più in grado di sopravvivere, deve pagare 600 euro di affitto e vivere con un’entrata di soli 300 euro della pensione di invalidità.

Antonia si arrangia a fare qualche lavoretto, ma saltuario e purtroppo poco remunerativo. «Non posso vendere la macchina, ammesso di riuscire a piazzarla, perché poi non so come andare a lavorare, ormai sono disperata, l’altro giorno in preda al nervosismo ho bruciato anche la mia carta d’identità, che serve infatti essere italiani se prima di noi aiutano tutto il mondo».