Confini sempre più chiusi, maggiori i controlli. Dopo il referendum ungherese che con un plebiscito ha suggellato la politica delle porte chiuse del governo Orbán, anche i più fanatici l’hanno capito: di lì non si passa.
Negli ultimi giorni nuova protesta, inscenata nel pieno centro della capitale serba Belgrado da almeno 300 clandestini islamici, in gran parte afghani. Poca roba per noi, abituati a vederne vomitare mille al giorno dai nostri governanti. Dopo essersi scontrati tra loro, i trecento si sono poi incamminati a piedi verso il confine, in direzione del valico di Horgos. «Non vogliamo acqua o cibo, ma solo che l’Ungheria apra la frontiera», hanno gridato mentre uscivano da Belgrado.
Una marcia di esremisti, con zero possibilità di ottenere asilo nell’Ue, tranne l’Italia. Dei 300 partiti, 250 sono già scesi a più miti consigli «causa pioggia, freddo e stanchezza» dopo aver percorso una cinquantina di chilometri. Gli ultimi cinquanta, i più oltranzisti, dopo aver «richiesto un autobus per arrivare a Subotica», hanno poi accettato in gran parte le offerte delle autorità e sono tornati ieri pomeriggio a Belgrado. L’hanno capito: dall’Ungheria non si passa.
I muri funzionano. Per questo i mattarella di turno non li vogliono, e parlano di ponti: mettono a rischio i piani dei loro padroni.