L’unica cosa che vogliono adesso è tornare a casa. Dopo aver speso migliaia di euro, quelli rimasti bloccati a Idomeni, ora vogliono ritornare in Siria: dove, dicono, si sta meglio.
Come vedete, i muri contano. Bastava chiudere il confine perché smettessero di arrivare e tornassero indietro: perché chi arriva non fugge dalla guerra. Chi è disperato non ha soldi per pagare i trafficanti. E, soprattutto, non si lamenterebbero.
“Non ci aspettavamo che saremmo stati trattati così in Europa”, spiega Atia, che a Damasco faceva il barbiere. “Pensavamo cche si sarebbero presi cura di noi”.
La famiglia di Atia ci prova col treno. A ritroso. Da Idomeni, dove sono stati per mesi, vanno verso Thessaloniki. Da lì tenteranno di imbarcarsi per la Siria.
Diversa è la storia per un’altra famiglia di siriani, quella di Dania, che è riuscita ad arrivare fino a Berlino. Ma il finale è lo stesso: anche per loro il desiderio di tornare a casa si fa sempre più pressante.
“Umiliazioni e mancanze di rispetto. La nostra vita non è stabile. C‘è una fortissima pressione psicologica, tutto è proibito”, spiega Dania. “Non c‘è niente che vada bene. In Siria stavamo meglio”. Perché non in tutta la Siria c’è la guerra. E chi arriva, proviene proprio da quelle zone.
Chi resta chiede casa nuova e lavoro. Moltissimi afghani e iracheni, invece, sono già riusciti a partire e a tornare a casa.
E parliamo di siriani e iracheni, che almeno un po’ con la guerra una qualche relazione ce l’hanno. In Italia, invece, arrivano solo africani: e loro, la guerra, non l’hanno mai vista. Sono giovani maschi fancazzisti che accorrono in Libia per imbarcarsi sfruttando i taxi di Renzi