Firenze: di padre in figlio dal Rinascimento a oggi

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Due economisti della Banca d’Italia Guglielmo Barone e Sauro Mocetti che hanno avuto l’idea di confrontare i dati fiscali dei fiorentini del 1427 e quelli dei contribuenti del 2011. Il risultato? La ricchezza a distanza di 6 secoli è rimasta in mano alle stesse famiglie, dinastie inossidabili che hanno conservato il patrimonio.

A rendere possibile la curiosa ricerca è stata una crisi finanziaria: anno 1427, Firenze era sull’orlo della bancarotta per la guerra in corso con Milano e fu fatto un censimento fiscale su 10mila cittadini, con nome, cognome, professione e patrimonio. Dall’esame degli elenchi emerge come circa 900 dei cognomi più facoltosi siano ancora presenti a Firenze per un totale di 52mila contribuenti. Discendono da dinastie della corporazione dei calzolai al 97esimo percentile di reddito nel 1429, dei produttori di seta e dei giuristi al 93esimo, tra gli altri. A semplificare l’operazione sulla tracciabilità delle famiglie il fatto che i cognomi di Firenze abbiano uno spiccata connotazione regionale. E anche se non tutte le persone con lo stesso cognome discendono dalla stessa famiglia, la stragrande maggioranza sì.

In conclusione quel che emerge dal raffronto è uno status socio-culturale persistente in cui una metaforica “lastra di vetro protegge i discendenti dei ceti alti dai rischi di una discesa economica”. E il caso ‘Firenze’ secondo i due economisti può essere generalizzato anche alle principali città delle economie avanzate.

Barone e Mocetti hanno preso in esame i dati contenuti nel catasto della città nel 1427, che riguardano la ricchezza, l’occupazione e il reddito da lavoro dei circa 10.000 capifamiglia dell’epoca. Un elenco pubblico, digitalizzato e analizzato negli anni scorsi dagli studiosi David Herlihy e Christiane Klapisch-Zuber, che racconta come ad esempio il più ricco fiorentino dell’epoca fosse Palla Nofri Strozzi di Santa Maria Novella, 162.906 fiorini, seguito da Francesco Simone Tornabuoni con 109.333 e così via. Un elenco dove si ritrovano cognomi noti nella storia e nella toponomastica di Firenze: Medici, Panciatichi, Portinari, Bardi, Peruzzi, Lambertesca, Barbadori, Pazzi, Giacomini, Serragli, Guicciardini, Albizi. I due ricercatori hanno quindi associato a queste informazioni quelle provenienti dalle dichiarazioni dei redditi dei fiorentini per il 2011, collegando i due database per cognome. Infine hanno calcolato il coefficiente di rapporto tra il reddito da lavoro e la ricchezza per i circa 800 cognomi risultanti dall’incrocio delle due database.

«I risultati sono davvero sorprendenti: la correlazione nei redditi tra pseudo-antenati e pseudo-discendenti non decade dopo un lasso di tempo così ampio. Infatti, l’elasticità intergenerazionale risulta statisticamente significativa e positiva. E una correlazione analoga, anzi molto più alta, vale per la ricchezza immobiliare», osservano Barone e Mocetti.

C’è proprio un filone degli studi economici e statistici che calcola quella che in gergo accademico si chiama “mobilità intergenerazionale” ed è stato elaborato anche un coefficiente per calcolarla, tra 0 e 1. Più il valore è prossimo a 1 più significa che le condizioni iniziali si perpetuano tali e quali, più tende a 0 e più lo status del genitore non influenza quello del figlio. Nel caso di un’analisi su sei secoli, circa 20 generazioni, Barone e Mocetti erano certi di rinvenire un valore pari a 0, pensavano che in nessun modo il destino dell’avo incidesse su quello del pronipote. E invece i due si sono trovati di fronte un eccezionale 0,04. E non si sono fermati lì: «Abbiamo considerato alcune professioni esistenti sia oggi sia nel ‘400, caratterizzate da prestigio sociale medio-alto. Avvocati, banchieri, medici, farmacisti, orafi. Collegando nuovamente i nominativi odierni a quelli degli pseudo-antenati emerge che la probabilità di praticare una delle professioni elencate è significativamente maggiore se gli antenati erano specializzati nella stessa professione». Ipotizzano nelle conclusioni Barone e Mocetti di trovarsi «di fronte alla narrazione statistica di dinastie professionali che si conservano nel tempo, e ciò dà conforto all’ipotesi dell’esistenza di una struttura a blocchi, tra loro poco comunicanti, nel mercato del lavoro e, quindi, nella società».

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Come hanno intuito i due ricercatori, il caso di Firenze non è un unicum. E’ la regola. Difficile dire se la permanenza della ricchezza derivi da privilegi oppure dall’eredità genetica: l’intelligenza è genetica, quindi è probabile che nel tempo si trasmetta.

Un caso paragonabile a quello di Firenze, ma con implicazioni che diventano anche etniche, lo abbiamo in Inghilterra.
Nel 1066, con la battaglia di Hastings, l’Inghlterra sassone cade sotto il giogo normanno. Da li, poi discenderanno i futuri scontri dinastici che porteranno alle guerre anglo-francesi così ben narrate da Shakespeare.
Chiunque abbia letto Ivanhoe sarà consapevole del senso di oppressione straniera che i Sassoni avevano, compresa una segregazione etnica tra l’elite militare normanna e la popolazione sassone in tutto simile alla situazione dell’Italia post-romana sotto il gioco ostrogoto.
Gli invasori espropriarono le terre sassoni.Dopo pochi anni, la terra in mano ai nobili sassoni era ridotta a meno del 5% del totale. Il travaso di ricchezza da autoctoni a “nuovi inglesi” era completo.

La stratificazione sociale tra invasi ed invasori era così marcata, da dare origine al fenomeno curioso di una lingua, quella inglese moderna, nella quale esistono due nomi per descrivere l’animale; uno in quanto allevato e l’altro come portata. Questo perchè gli allevatori erano i popolani sassoni, mentre a consumarne la carne erano i nobili normanni.

The Norman invasion is the reason we have pairs of words for living versus cooked animals — the commoners who raised animals spoke English, and the nobles who ate meat spoke Norman French. Thus we have cow/beef, calf/veal, sheep/mutton, swine/pork, deer/venison. (Wamba, the jester in Sir Walter Scott’s Ivanhoe, catalogues these pairs.)

http://www.cs.princeton.edu/~aahobor/Lucy-Day/Excerpts/The-Story-of-British-English.shtml

Ma quello che emerge dallo studio di un ricercatore americano http://www.telegraph.co.uk/news/newstopics/howaboutthat/8424904/People-with-Norman-names-wealthier-than-other-Britons.html – e’ che questa ‘segregazione’, quantomeno dal punto do vista economico (ma sociale ed economico sono sempre correlati) sopravvive ancora oggi.
Studiando i cognomi di origine normanna e quelli di origine anglosassone, lo studioso ha ripercorso la stratificazione economica della società inglese per scoprire che, ancora oggi, i discendenti dei Normanni hanno una ricchezza superiore del 10% a quella dei loro (compatrioti?) di discendenza sassone.
Questa scoperta e’ scioccante se pensiamo che sono passati, dall’invasione, 946 anni; e ci ricorda come, certi eventi abbiano una ricaduta che non si esaurisce nel breve ma che persiste nel lungo e lunghissimo termine. Quello che accade oggi, segnerà il nostro futuro nei millenni.

Nel caso dell’Inghilterra è anche una smentita anche all’idea di ‘integrazione’. Se dopo un millennio, due popolazioni molto simili non hanno ancora completato la loro ‘fusione’, quale destino attende l’Europa?