Rampini ammette: Putin ha vinto la guerra

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Il povero Rampini in due articoli lo stesso giorno sul Corriere è riuscito a sconvolgere tutta la narrativa globalista dei suoi padroni:

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Riguardo Erodoto e le democrazie: quello tra Grecia e Persia non è stato uno scontro tra ‘democrazie liberali’ e ‘dittatura’, ma tra una società etnicamente omogenea e nazionalista e un impero multietnico. Oggi, quell’impero multietnico è l’impero americano: e il suo esercito è la Nato.

Ps. L’Ucraina non durerà fino alla sconfitta elettorale di Biden. E Putin, ormai, non si accontenterà del Donbass. Vuole ridisegnare l’ordine mondiale, ed è bene così.




Un pensiero su “Rampini ammette: Putin ha vinto la guerra”

  1. Sarebbe bello che Trump togliesse veramente l’ombrello nucleare americano, Putin potrebbe tranquillamente regolare i conti con baltici e polacchi.
    Purtroppo, non credo che lo stato profondo americano glielo permetterebbe.
    Riguardo allo scontro tra Grecia e Persia, ma perché non ricordiamo lo scontro tra Roma e le città greche, divise, deboli, decadute.
    L’errore delle città greche? Che, pur riconoscendosi reciprocamente una comune ‘ellenità’ (grecia è un termine latino), non seppero riconoscere la superiorità di una città, per renderla capitale, unendosi in una sola patria. Ciò che invece riuscì a Roma in Italia.
    Chi pensa che Roma accolse stranieri come non ci fosse un domani, sbaglia, forse non sapendolo nemmeno, rimbambito com’è dalla propaganda massiva. Ma per i Romani la cittadinanza era cosa seria, sacra.
    Anche per molti popoli Italici era infrequente ottenerla, ma il discorso era politico, non era razziale. Alcuni, come i Sanniti, erano ritenuti infidi, altri, non la volevano, come molte città italiote, altri ancora videro estendersi la cittadinanza sine suffragio, che non turbava i delicati equilibri politici, ma parificava la condizione giuridica dei beneficiari, poi c’era la cittadinanza ‘latina’, cui scadevano anche gli stessi romani optimo iure se fondavano colonie altrove, quindi non c’era un requisito etnografico, tuttavia, c’era una cosa in cui Romani e Italici erano uniti, e non si consentiva a nessun altro di interferire e questo era il servizio militare.
    Certo, alcune truppe speciali potevano essere temporaneamente levate, in genere trattate da mercenari, quali erano. Ma solo agli Italici era concesso di militare assieme alle legioni, e tutto era uguale, dall’armamento, all’addestramento, alla qualità del materiale umano, come ebbero a subirlo i Romani (che ormai erano dispersi in mezza Italia peninsulare, tanto la cittadinanza si era estesa), durante la guerra sociale.
    Questo fatto di servizio comune in guerra è fondamentale, e permise, a Roma, grazie all’Italia, di fondare un impero, cosa che non poterono fare né Atene, né Sparta, né Tebe.
    E anche Roma era a suo modo una democrazia. Certo, era una repubblica oligarchica, ma l’ultimo dei cittadini votava, e contava: Civis romanus sum. Frase ripetuta con orgoglio, che incuteva timore nello straniero che rapiva, o derubava incautamente un cittadino.
    Tutto questo vale per la repubblica, con l’impero multinazionale, e il dispotismo, essere ‘romano’, fu solo un’espressione idiomatica.

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