Famiglia perseguitata dai Rom: casa a fuoco, bruciati vivi tre fratelli italiani

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Regno della malavita rom che ha avuto ‘in appalto’ dalla ‘ndrangheta il traffico di droga l’area tra Catanzaro Lido e il centro del capoluogo calabrese è un coacervo di illegalità, violenze, sopraffazioni contro cui le autorità e le istituzioni non difendono gli italiani.

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Bronx o ghetto. Le definizioni si sprecano per la zona a sud di Catanzaro, compresa fra il quartiere Lido del capoluogo calabrese e il centro, dopve nella notte si è consumata la tragedia costata la vita a tre giovanissimi fratelli, morti nel rogo del loro appartamento.

Un agglomerato costituito dai quartieri Aranceto, Pistoia e Corvo, diventato negli anni preda del degrado e della criminalità. Comune e Aterp vi hanno realizzato edifici di edilizia popolare in cui vivono le famiglie più indigenti della città.

Un’area in cui sono diffusi elementi di degrado tipici di realtà urbane anche pià grandi del capoluogo della Calabria: spaccio di droga, case occupate abusivamente, allacci illegali alla rete elettrica, arsenali di armi e traffici di ogni tipo.

L’area attraversata da viale Isonzo, a sud di Catanzaro, è territorio dalla criminalità rom che ne ha fatto una centrale di smercio della droga; il quartier generale di una criminalità riconosciuta dalla ‘ndrangheta come attestano molte inchieste della magistratura, praticamente sottratta al controllo dello Stato.

Una “zona franca” in cui l’accesso è difficile anche per le forze dell’ordine. Lo spaccio di droga avviene quasi alla luce del sole; spesso è gestito da coppie che si nascondono dietro ai figli, occultando loro addosso lo stupefacente se non addirittura utilizzandoli come vedette o spacciatori.

Smantellate, in fretta e furia, nel 1984, le baraccopoli costruite nei quartieri a sud della città per nascondere il degrado a Papa Giovanni Paolo II, in visita nel capoluogo calabrese, ai nomadi, ormai stanziali, furono assegnati gli appartamenti. La polvere fu nascosta sotto i tappeti, ma non fu rimossa.

L’integrazione non ci fu e in breve i palazzi di località Pistoia diventarono luogo di riferimento delle attività illecite che si svolgono nel capoluogo calabrese, un tempo considerato “isola felice” in un contesto regionale in cui la ‘ndrangheta era già radicata.

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La comunità rom di Catanzaro si formò negli anni Sessanta, con l’arrivo di nomadi dall’ex Jugoslavia, collocati in accampamenti nella zona sud del capoluogo calabrese. Circa 6.000 persone ormai stabilmente insediate in citta’.

Il campo più grande era quello del quartiere Lido, posizionato a pochi metri dalla stazione ferroviaria, in un’area oggi trasformata in un centro polivalente. Baracche visibili a tutti che negli anni ottanta richiamarono l’attenzione dell’allora attaccante del Milan Mark Hatley. Passando in pullman con la squadra impegnata in un’amichevole contro il Catanzaro, il calciatore descrisse in un diario la situazione sollevando polemiche.

L’idea della politica locale fu quella di smantellare l’insediamento, diventato insostenibile dal punto di vista igienico, ma anche sotto l’aspetto della sicurezza. A molte famiglie furono assegnate le case popolari di viale Isonzo, Zona diventata territorio franco all’interno della citta’.

Le operazioni delle forze dell’ordine hanno permesso di individuare l’esistenza di veri e propri bunker chiusi da sbarre, controllati da sentinelle o da telecamere, divenuti luoghi di spaccio oltre che deposito di autoveicoli rubati.

Gli appartamenti realizzati dall’Aterp sono stati spesso vandalizzati, in molti casi sottratti agli assegnatari che hanno dovuto fare le valigie; le aree circostanti ridotte a discariche di rifiuti e carcasse di automezzi.

Operazioni della Dda hanno dimostrato l’evoluzione delle bande rom: da manovalanza composta da semplici associazioni di spacciatori a vere e proprie organizzazioni riconosciute dalla ‘ndrangheta. Secondo il procuratore capo della Dda catanzarese, Nicola Gratteri, agli ex nomadi le ‘ndrine hanno subappaltato il traffico di droga, ma nel business ci sono pure le estorsioni, soprattutto quelle legate al “cavallo di ritorno”, cioè ai furti d’auto restituite dietro il pagamento di un riscatto. Nel quartiere non sono mancati negli anni omicidi legati a faide locali.

Nulla è ‘ormai’. Sono venuti dalla ex-Jugoslavia? Si rastrella la zona e si rimandano da dove sono arrivati. E’ il tempo delle scelte radicali.

Purtroppo la seconda guerra mondiale è andata male. Ora abbiamo la possibilità di ricominciare.




Un pensiero su “Famiglia perseguitata dai Rom: casa a fuoco, bruciati vivi tre fratelli italiani”

  1. La Calabria è starà scelta come laboratorio per insediarvi varie popolazioni di immigrati,cominciando coi rom e continuando con gli africani.
    Perché è una delle regioni con la più forte emigrazione di autoctoni(gente che più delle volte abbandona la propria terra di origine).Chi rimane sono anziani,pochi giovani fortunati che trovano sistemazione lavorativa,lavoratori autoctocni,etc.Il grosso della popolazione sembrano anziani,quindi gente con poche capacità di autodifesa dai sopruso,ma anche gente intortata da dei delinquenti di parroci che gli predicano il paradiso a costo di diventare accoglioni.

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