Casa nuova ad Alì e ai suoi 9 figli: famiglia italiana in camper

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Letta e Lamorgese in questi giorni hanno parlato della ripresa dei famigerati corridoi umanitari. E allora è tempo di raccontare cosa accadeva prima della pandemia con gli arrivi di migliaia di questi personaggi per via aerea.

Ali, sua moglie Khaldiyie e i suoi 9 figli si trovano in Italia, precisamente a Rivalta di Torino, un piccolo comune di 20.000 abitanti. Vicino a loro vivono Marco, Sonia e i loro figli, in un camper regalato da CasaPound, perché prima dormivano in auto.

«Con mia moglie e i miei figli vivevo ad Aleppo, poi è scoppiata la guerra e siamo scappati perché i miei figli avrebbero dovuto combattere. Siamo fuggiti in Libano […] Grazie ai corridoi umanitari un anno fa siamo arrivati in Italia dove abbiamo trovato casa, scuole e ora io ho iniziato a lavorare». Così ieri mattina a Torino nella sede del Gruppo Abele, Ali Alabdallah ha dato inizio ad un incontro sul tema dei corridoi umanitari organizzato per festeggiare il loro primo anno in Italia.

La famiglia di Ali è numerosa: 9 figli. E’ arrivata a Roma il 27 aprile 2016 con i corridoi umanitari, frutto di un protocollo d’intesa tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e il governo italiano. E’ finanziata con i soldi dell’8 per mille. In pratica il Vaticano usa i soldi che truffa ai contribuenti italiani per islamizzare l’Italia in complicità con gli abusivi al governo.

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«Nella nostra parrocchia – prosegue don Chiaussa – aiutiamo persone che da anni non riescono a risollevarsi perché è difficile poi sfuggire alla mentalità assistenziale, c’era la paura di fare promesse difficili da mantenere e anche di affrontare il mondo islamico e una cultura diversa… ma a fronte di queste obiezioni la risposta è stata che anzitutto dovevamo pensare a ciò che potevamo fare noi, perché di fronte al male che ci circonda non abbiamo altra soluzione che inventarci altre vie di bene».

E i frutti di queste vie di bene si colgono negli occhi di Mohammad il figlio di Ali che ha già iniziato anche lui un tirocinio lavorativo. Sergio Durando, direttore della pastorale migranti, può servire a stimolare politiche d’accoglienza più incisive e a contrastare chi parla di ‘invasione’ come ha sottolineato il prefetto di Torino Renato Saccone. Pregiudizi che rischiano di far perdere quella «speranza che», come ha ricordato Mattia Civico riportando le parole di Badheea, siriana accolta a Trento nel 2016 «è sapere che qualcuno è con te, ti aspetta, ti prepara un posto».

La guerra è finita, tornate in Siria. Anzi, ad Aleppo era praticamente finita già quando loro sono stati portati in Italia.

Dell’accoglienza si è occupato tal Tommaso Panero insieme all’associazione “Giuliano Accomazzi” e a diverse parrocchie di Torino.

“Accogliere questa famiglia era più difficile per i soliti canali, 11 persone non sono facili da gestire. Così, dopo essere stato per alcuni mesi volontario nel campo di Tel Abbas, ho deciso che volevo aiutarli e abbiamo lanciato una raccolta fondi nelle parrocchie. La risposta è stata incredibile, nel giro di un mese abbiamo trovato 150 famiglie disposte a finanziarci per due anni”.

II primo anno e mezzo Ali, Khaldiyie, Abdallah e tutti gli altri, hanno vissuto in una struttura che fa parte del Gruppo Abele che si chiama “Il filo d’erba”.

“La cosa più importante, oltre ad avere un fondo economico per finanziare l’inserimento della famiglia, è avere una comunità pronta ad accoglierla e questo da noi c’è stato tanto che abbiamo pensato di allargare il nostro progetto ad un’altra famiglia, che però al momento è bloccata in Libano in attesa del visto”.

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I visti per i corridoi umanitari sono emessi dal Ministero degli Affari Esteri dopo i controlli di sicurezza effettuati anche dal Ministero degli Interni. Negli ultimi mesi i tempi d’attesa si sono allungati e alcuni visti sono stati bloccati: perché il ministro è cambiato, e i corridoi sono più stretti.

Una delle famiglie bloccate è quella di Jassem Alabdallah, fratello di Ali, anche loro erano al campo di Tel Abbas due anni fa e avrebbero dovuto raggiungerli a Rivalta di Torino. In pratica una sorta di colonizzazione visti i numeri di figli.

“Abbiamo accelerato la ricerca di una casa per Ali, Khaldiyie e i loro 9 figli in modo da lasciare quella che li aveva accolti per un anno e mezzo ai nuovi arrivati. Loro ora sono in una casa autonoma mentre gli altri sono ancora bloccati in Libano”, aggiunge Tommaso Panaro.

La solidarietà anche in questo caso si era già mossa e le stesse 150 famiglie che avevano sostenuto Ali, stavano già supportando quella di Jassem raccogliendo dei soldi. Soldi che nell’attesa di vederli arrivare hanno deciso di mandare in Libano e di dare loro la possibilità di affittare una casa e non vivere più in un campo profughi.

Ecco, se in Libano vivono in una casa, perché li dovete fare venire qui?

Di visti per l’Italia ne restano 500 fino a dicembre 2019, quando scadrà la seconda convenzione tra la Federazione delle Chiese Evangeliche, Tavola Valdese, Sant’Egidio e la Farnesina.

“Dopo i primi due protocolli che hanno messo a disposizione duemila visti in quattro anni, pensiamo che questo debba essere un modello da perseguire e per questo siamo ottimisti”, dice Federica Brizi del famigerato Mediterranean Hope, progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche che si occupa proprio dei migranti.

Noi diciamo di no, invece. E’ intollerabile che in Italia ci siano famiglie che vivono in auto, e poi si facciano venire Alì e i suoi 9 figli dal Libano. Perché le parrocchie danno casa ai musulmani e lasciano le famiglie italiane in auto?

Ad esempio, c’è chi vive in camper, ma solo perché gli attivisti di CasaPound ne hanno trovato uno:

https://voxnews.info/2019/04/09/italiani-in-camper-a-torino-dove-si-da-casa-a-350-africani/

Abbiamo una cosa da dire a quelle 150 famiglie che si sono prodigate per Alì la sua numero famiglia islamica: andate a fare in culo.

E a Salvini: gli aerei li vogliamo pieni in uscita, non in entrata. In Libano non ci sono guerre, in Siria è finita. Tornino a casa.




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