L’ammiraglio di Divisione Nicola De Felice lancia l’allarme.
Per De Felice «il verificarsi di un rinnovato flusso di migrazione illegale via mare dalla Libia e dalla Tunisia nei prossimi mesi è alquanto probabile. Il tempo buono e il mare calmo – nonché la peggiorata instabilità della situazione in Libia – invoglieranno i trafficanti di esseri umani a rinnovare le loro intenzioni riavviando l’ignobile mercato degli schiavi, in versione XXI secolo».
E spiega che gli strumenti per contrastare il fenomeno «già ci sono, occorre la volontà politica di utilizzarli. L’Italia può organizzare una “strategia diretta” di doppio blocco navale, responsabilizzando l’Onu per una più efficace gestione della crisi umanitaria in Africa e gli Stati di bandiera delle navi che solcano il Mediterraneo per il rispetto di chi deve assicurare asilo politico secondo i dettami della Legge del Mare delle Nazioni Unite e del Trattato Ue di Dublino, art. 13. Questo consente di raggiungere l’obiettivo di stroncare sul nascere un fenomeno che tanti morti ha provocato in mare».
De Felice, già addetto per la Difesa dell’ambasciata italiana a Tunisi e dal 2015 al 2018 il numero uno della Marina in Sicilia, è preoccupato dalla situazione nordafricana: «le condizioni politiche, sociali, economiche e umanitarie in quell’area geografica risultano oramai inaccettabili. Non si può più fare finta di nulla. Siamo di fronte a una minaccia per gli interessi italiani e anche internazionali. La Libia, in particolare, non è in grado di garantire in proprio le funzioni istituzionali di un’organizzazione statuale, prima fra tutte quella della sicurezza. Nel mese di maggio le condizioni politiche in Europa potrebbero essere più favorevoli e molti sono gli avvicendamenti che si attendono entro l’anno, a partire dall’Alto Rappresentante degli Affari Esteri e della Sicurezza dell’Ue, del presidente della Commissione Europea, del semestre di Presidenza del Consiglio Europeo e anche alla Bce. Inoltre, c’è un generale italiano chairman del Comitato Militare europeo».
Sinceramente, non faremmo molto affidamento su di lui:
L’ammiraglio afferma che «la crisi in Libia non è avvertita in Europa nello stesso modo che in Italia, ma il protrarsi per un così lungo periodo potrebbe espandersi in altri domini. Non interpretata correttamente, la crisi libica può causare delle prese di posizione imprevedibili da parte dei numerosi attori coinvolti. Consideriamo il caos che caratterizza la Libia e i numerosi clan che si sono formati e si muovono dopo il vuoto di potere scaturito dall’intervento voluto dalla Francia nel 2011».
«In ambito nazionale – dice – la responsabilità della gestione della crisi risale all’Organizzazione nazionale per la gestione delle crisi. L’organizzazione posta in essere determina le misure necessarie da attuare, sia come Nazione che come Stato facente parte di organizzazioni quali l’Onu, la Nato, l’Ue, l’Osce o coalizioni che maturino analoga volontà di cooperare, da creare ad hoc ovvero permanenti. Il Comitato Politico Strategico (CoPS) di tale organizzazione valuta gli elementi di situazione e gli eventuali provvedimenti da sottoporre all’approvazione del Consiglio dei Ministri dando l’indirizzo strategico all’approccio della crisi. Il CoPS interagisce con gli attori esterni, in particolare con il Consiglio Europeo e con il Consiglio Atlantico, con le ambasciate dei Paesi dell’aerea. Se si fosse perseguita l’applicazione di tale organizzazione nel caso della nave “Diciotti”, non saremmo giunti al paradosso di vedere indagato un ministro del governo».
Non condividiamo. La situazione libica non è certo ideale, ma è in via di stabilizzazione. Il blocco navale di fatto, quello gestito con motovedette italiane e personale libico (misto in molti casi) funziona bene.
Manca però un tassello al rendere il traffico impossibile: riportare indietro i barconi quando bucano il ‘blocco’. Sarebbe il colpo definitivo. Perché questo accada urge dichiarare la Libia porto sicuro: e lo è, visto che sono i clandestini ad andarci per farsi imbarcare, e nessuno li costringe.