Che Guevara uno di noi: il rivoluzionario omofobo e razzista

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Ricorre oggi il novantennale di Ernesto Guevara, in arte Che. Nato a Rosario, Argentina, da una famiglia benestante, Guevara si laurea in medicina. Nel 1955 conosce Fidel e Raúl Castro in Messico, e tutto cambia.

Decide che la sua è la vita del guerrigliero contro l’imperialismo americano. Oggi lo definirebbero un populista. Un populista omofobo e razzista. Facebook lo bannerebbe e i magistrati italiani lo processerebbero con la Mancino.

Famosa la frase: «come puoi tenere il libro di questo finocchio in ambasciata?», pronunciata nel 1965, in visita nella sede diplomatica cubana di Algeri, quando vide la summa «Teatro Completo» del poeta e drammaturgo Virgilio Piñera.

Fu del resto proprio il Che ad istituire nel 1960 i famosi campi di internamento per i pervertiti: i gay finirono tutti a Guanahacabibes. Dove all’entrata c’era scritto «Il lavoro vi renderà uomini».

Il Che spiegò nel 1962: «ci mandiamo chi ha commesso peccati contro la morale rivoluzionaria». Perché lui era un rivoluzionario, non un radical chic.

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È del resto lo stesso Che a mettere, nero su bianco, nella sua autobiografia Textos Políticos «l’odio come fattore di lotta, l’odio intransigente contro il nemico che spinge oltre i limiti naturali dell’uomo e lo trasforma in una, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere».

E come dimenticare, poi, i suoi «Diari della Motocicletta», dove si legge che i «negri hanno mantenuto la loro purezza razionale grazie alla scarsa abitudine che hanno di farsi il bagno».

Più avanti, in Brasile, comparando portoghesi e coloured, è sempre lui a scrivere: “Il negro è indolente e sognatore, spende il suo magro salario in frivolezze o bevande, l’europeo ha una tradizione di lavoro e risparmio che lo ha portato fino a quest’angolo di America e lo porta a migliorare se stesso, anche indipendentemente dalle sue stesse aspirazioni individuali.”

E poi la memorabile frase: “Faremo per i negri quello che i negri hanno fatto per la rivoluzione: niente”.

Al di là delle provocazioni, c’è molto da discutere su quale tipo di rivoluzioni furono quelle di Castro e Guevara. Sì, finirono nello schieramento sovietico, ma più per reazione all’imperialismo Usa che aveva trasformato Cuba nel puttanaio americano, che per fondamenti ideologici. La realtà è sempre più complessa di quello che appare.