Lo paghiamo anche, l’assassino di Pamela. Per qualche spazzata in prigione.
Innocent Oseghale, il nigeriano di 29 anni arrestato il 31 gennaio per l’omicidio di Pamela Mastropietro, la diciottenne romana uccisa, fatta e pezzi e chiusa in due trolley abbandonati poi per strada, è detenuto a Marino del Tronto. Gli è stata assegnata una cella della zona filtro, quella destinata alle persone accusate di violenza sessuale o reati per i quali potrebbero avere problemi con gli altri detenuti. Lui, purtroppo, non ne ha ancora avuti.
Prima quella cella era occupata da otto persone, dopo l’intervento del garante ce ne sono cinque, al massimo sei per esigenze momentanee. Oseghale deve stare largo.
A Oseghale è stato consentito di fare dei lavori di pulizia retribuiti: spazza il corridoio della zona filtro, dove ci sono due celle, fino alla cucina tutte le mattine tranne la domenica, e che lo impegna per un’ora: per questo “lavoro” di un’ora riceve dai contribuenti italiani una retribuzione di circa ottanta euro al mese. Oltre al vitto gratis. Esentasse. Sarebbe ora che i detenuti lavorassero per ripagare quello che consumano a spese dei cittadini, soprattutto quelli che hanno fatto a pezzi le ragazzine.
Il resto del tempo, tolta l’ora d’aria, lo trascorre in cella. Non ha infatti ancora avuto il permesso di dedicarsi alle altre attività possibili a Marino; si tratta di attività ricreative premiali, alle quali chi è dietro le spalle accede non subito, anche in base al comportamento da recluso.
Il nigeriano parla con i suoi compagni di cella della sua compagna, la disabile mentale italiana con la quale si sente di tanto in tanto al telefono, perché Oseghale è stato autorizzato anche a chiamarla. La ragazza tra l’altro sta per dare alla luce il secondo bambino avuto da lui. Un altro piccolo Oseghale in arrivo.
Difeso dagli avvocati Umberto Gramenzi e Simone Matraxia, il nigeriano respinge le accuse sebbene gli indizi su di lui siano troppi, a cominciare dal fatto che ci sono videoriprese e testimonianze sul fatto che sia stato lui, alle 22.30, a portare in taxi i due trolley a Casette Verdini, abbandonando là i poveri resti della ragazza, poi il sua Dna nel corpo di lei. Ormai su di lui le indagini sono quasi completate.