Dieci giorni di cani e gatti cucinati al vapore per essere mangiati in Cina al “festival di Yulin”. Lo chiamano “Dog day” come se fosse un evento di sensibilizzazione e invece è una delle mattanze più crudeli del Pianeta.
E per arrivare a essere il cibo per cui si svolge questo evento, gli animali prima di diventare un piatto attraversano un percorso di soprusi e violenze. Perché, secondo la tradizione cinese, più sono terrorizzati in punto di morte, più la carne è buona.
Ne abbiamo parlato giusto pochi giorni fa:
Come i cinesi macellano i cani: fermiamo il massacro – VIDEO CHOC
C’è un giovane italiano che sta combattendo da cinque anni contro questo scempio.
Lui è Davide Acito, ha 31 anni, ed è stato intervistato da LaZampa.it.
Due settimane prima dell’intervista è stato in avanscoperta, come fa ogni volta, a Yulin e ci tornerà i primi di giugno anche quest’anno.
«L’amore per gli animali è qualcosa che ho avuto sin da bambino. Poi, durante un viaggio in Asia ho scoperto di come i cani e i gatti vengono trattati in quella parte di mondo. E da lì ho preso a cuore il loro destino, in un posto dove non vige nessuna legge di tutela per gli animali».
Che cosa succede a Yulin prima e durante i giorni del Festival?
«Yulin è il nono girone dell’inferno per chi ama gli animali ma, soprattutto, per questi ultimi. Durante i primi giorni di festival c’è molta tensione. Da parte del governo si percepisce, proprio nel tenere sotto controllo gli stranieri, la paura che siano divulgate le informazioni a livello internazionale. La città è barricata da agenti in divisa e in borghese, locali e governativi. A me, visto che sanno che sono lì proprio per salvare i cani e far sapere quel che succede, mi hanno pedinato, seguito in tutto quello che facevo e interrogato, come mi è successo l’anno scorso. C’è una brutta energia in quei giorni. E ogni volta che ci vado non sono neanche libero di piangere in pubblico: devo farlo di nascosto per non essere “notato”. Ci sono zone dove macellano cani a cielo aperto, zone dove li vendono vivi. Ristoranti di fortuna improvvisati in strada dove servono zuppa di cane. Di solito quando mi vedono mi deridono. Mi fanno foto video mentre mi batto per i cani, come se fossi un alieno. Però lo voglio dire: non sono tutti così e una cosa che non mi piace è quando si generalizza su tutta la Cina. Ci sono dei cinesi sul posto che si fanno in quattro per aiutarmi nel progetto».
Che cosa fai insieme agli altri attivisti per salvare gli animali?
«Fino allo scorso anno abbiamo speso energie su diversi fronti. Andiamo a riscattare i cani , cioè paghiamo per liberarli, direttamente all’interno delle cosiddette “slaughterhouse”, ovvero i macelli improvvisati. Oppure abbiamo bloccato i camion che andavano a portare i cani al mercato. Il lavoro di preparazione e quello diretto sul territorio sono indispensabili proprio per capire come funziona il tutto: dove si trovavano i venditori, le slaughterhouse e dove passano i camion. Quest’anno punteremo a fare blocchi forzati dei mezzi con i cani stipati all’interno all’inverosimile, oppure a compiere direttamente blitz nei macelli. E’ un’attività complessa, emotivamente devastante e molto pericolosa. L’anno scorso mi sono venuti a cercare anche nella stanza d’albergo dove stavo. Mi hanno sottoposto, come raccontavo, a un vero e proprio interrogatorio allo scopo di intimidirci e fermarci».
E ora state costruendo un centro…
«Sì, è la nostra priorità: ospiterà i cani che salviamo. È un villaggio per i cani, un’isola felice senza box o restrizioni che abbiamo infatti chiamato “Island Dog Village E. F.”: un progetto pilota che verrà proposto come modello in Italia. La sigla finale sta per Elisabetta Franchi, la stilista. Il centro è dedicato a lei che ha deciso di essere al nostro fianco in questa missione. E’ da anni che si attiva per la tutela degli animali e ha detto no alle pellicce nella sua collezione da tempo. E una delle poche persone che ha dato una mano concreta sin da subito mettendo a disposizione quel che serve non solo col centro: anche con l’acquisto di medicinali e altri sostentamenti sia dall’estero che sul territorio».
La tua associazione si chiama “Action Project Animal” e ora c’è un progetto proprio dedicato a quello che succede a Yulin
«Sì, il progetto si chiama “Operazione Yulin” e l’associazione si batte per tutelare, difendere e salvare gli animali. Per noi è importante sottolineare che siamo in prima linea, che andiamo dove serve la nostra presenza. Non conosciamo confini, riconosciamo il dolore e la sofferenza che provano queste anime sulla Terra: salviamo gli animali combattendo nel luogo dove le ingiustizie accadono. E’ intollerabile che ci sia ancora così tanto accanimento da parte degli esseri umani su altre specie che dovrebbero poter convivere serenamente su questo pianeta con noi e come noi».
Chi è in Italia come può contribuire a dare una mano concreta?
«Si può partire come volontario: ci servono professionisti e attivisti in tutti campi. Per chi avesse intenzione di farlo può scrivere un email a actionprojectanimal@gmail.com. Oppure si può anche dare un contributo economico, indispensabile per le operazioni sul posto, attraverso il nostro sito:
http://www.actionprojectanimal.org/.