Noura è stata completamente abbandonata dalla sua famiglia, da un anno e mezzo è rinchiusa nel carcere di Omdurman. Eppure lei è la vittima. Almeno secondo i nostri canoni, ma non secondo quelli afroislamici.
Secondo i quali, nonostante sia stata abusata sessualmente, è stata condannata a morte.
Noura, a 13 anni è stata data in sposa a suo cugino. Nonostante il suo rifiuto, il matrimonio islamico è stato celebrato. Noura allora fugge, ma dopo due anni vissuti lontano dalla famiglia, ha la cattiva idea di tornare dal padre. Che la costringe a vivere a consumare il matrimonio.
La ragazza non vuole, ma i due sposi vanno in luna di miele a Khartoum, dove, dopo giorni di rifiuto, lei viene violentata dal marito che la costringe a fare sesso in presenza di altri parenti.
Il giorno successivo, il 3 maggio 2017, il marito cerca nuovamente di violentarla, ma Noura reagisce e lo accoltella, ferendolo a morte.
“‘O muori tu, o muoio io’, le ha detto il marito durante lo scontro”. La forza delle disperazione la spinge a difendersi uccidendo il suo aguzzino.
Noura torna nuovamente dalla famiglia, sperando di essere aiutata, ma il padre la consegna alla polizia, completamente rifiutata dalla famiglia, per i genitori non è più la loro figlia perché non si è lasciata violentare.
Il 19 aprile 2018, Noura viene incriminata e condannata a morte tramite decapitazione. In Sudan, infatti, vige la Shariʿah, la legge islamica. Condannata per omicidio premeditato, lo stupro non viene nemmeno preso in considerazione.
Solo tanti soldi potrebbero salvare Noura: “se la famiglia del marito accettasse il pagamento della multa, al posto della condanna a morte, Noura potrebbe essere salvata. Ma è molto difficile. La famiglia di lui è ricca e non ha bisogno di soldi, preferisce la vendetta”, spiega l’avvocato della condannata a morte..
Il 10 maggio prossimo ci sarà il processo e gli avvocati di Noura avranno 15 giorni per appellarsi alla sentenza.