Rivoluzione a Sesto San Giovanni: case agli Italiani e niente moschea

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“Sono stato eletto con quasi il 60 per cento dei voti perché i cittadini chiedevano discontinuità, stiamo solo rispettando il mandato elettorale”

Per ricevere una casa popolare è necessario abitare da almeno cinque anni sul territorio regionale. E in graduatoria ha la precedenza chi risiede da più tempo nel comune in questione, per evitare che siano sempre gli stranieri, spesso ‘nullatenenti’ con la villa al paesello, a scalare le liste d’attesa. Lo prevede il nuovo regolamento approvato da Regione Lombardia: dal 2 novembre è stato introdotto in via sperimentale a Sesto San Giovanni, se funzionerà entrerà in vigore su tutto il territorio a partire dal 2018.

E’ solo l’ultimo provvedimento della prima giunta non di sinistra dalla fine della guerra, una rivoluzione iniziata con lo stop al progetto della moschea approvato dalla precedente giunta: “Sono stato eletto con quasi il 60 per cento dei voti proprio perché i cittadini chiedevano una netta discontinuità – spiega il neo sindaco Roberto Di Stefano – Stiamo solo seguendo il nostro programma, rispettando il mandato elettorale”.

Ci sono altri segni di rottura, come la decisione di annullare l’adesione del comune all’istituto Alcide Cervi di Reggio Emilia, ente per la salvaguardia della memoria antifascista. Una delle tante marchette del PD.

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“Fatti salvi i valori rappresentati nello statuto, non sono state attivate iniziative o attività compartecipate dall’adesione e la distanza tra le sedi non consente azioni comuni o rivolte alla cittadinanza di Sesto San Giovanni”, si legge nella delibera della giunta, che termina ricordando che l’amministrazione resta comunque “impegnata nella tutela dei valori fondamenti alla base della nostra Costituzione”.

“Noi non mettiamo in discussione proprio nulla – ribatte a chi lo accusa di essere ‘fascista’ il primo cittadino Di Stefano, in carica da giugno – La manifestazione del Parco Nord era un corteo di sinistra con il deputato Pd Emanuele Fiano in bella mostra sul volantino a titoli cubitali e tutte le sigle della sinistra evidenziate. Ricordo inoltre che il mio primo atto da sindaco è stato commemorare due partigiani sestesi, Migliorini e De Candia, fucilati dai fascisti”, spiega Di Stefano. “La sinistra può attaccarci solo su queste questioni, che francamente hanno stancato i cittadini. Hanno fatto tutta la campagna elettorali dipingendoci come fascisti e hanno perso 60 contro 40 dopo 72 anni di potere”.

Altro impegno mantenuto con gli elettori è l’uscita da “Ready”, la Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni antidiscriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, e contemporaneamente l’ingresso nell’associazione dei “Comuni Amici della Famiglia”. Ma anche l’applicazione del cosiddetto “daspo urbano”, ovvero multe e allontanamenti nei confronti di commercianti abusivi, mendicanti e fancazzisti vari. “Non sono cambiamenti epocali – prosegue Di Stefano – ma solo azioni di buonsenso che i cittadini chiedevano da tempo”.

Un capitolo a parte lo merita il progetto della cosiddetta Moschea Milano Sesto, il centro culturale islamico da 2.400 metri quadrati che sarebbe dovuto sorgere nella periferia nord della città con il benestare della precedente amministrazione. Fin dall’inizio dalla campagna elettorale Di Stefano ha sempre detto che, se avesse vinto lui, la moschea non avrebbe mai visto la luce. E così è stato: il 10 ottobre il consiglio comunale ha votato la decadenza della concessione del diritto di superficie sull’area, con i soli voti contrari del Partito Democratico. Il partito degli immigrati.

“Su questo tema il nostro impegno è sempre stato chiaro – continua il sindaco – Oltre a valutazioni politiche ci sono stati anche molti aspetti tecnici, tra cui mancati pagamenti, a far decadere la convenzione”.