Boldrini e il grande business delle ‘discriminazioni’

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Il 50% della popolazione non può più continuare ad essere discriminato. È una questione di giustizia sociale. E’ una questione di sostenibilità. E’ una questione di democrazia.
L’obiettivo della parità di genere dovrebbe stare a cuore a chiunque, donna o uomo, consideri intollerabili le disuguaglianze perché questo divario è una zavorra che frena anche la nostra ripresa.
Ma tocca in primo luogo a noi donne fare azione di empowerment, darci reciprocamente forza, fiducia, sostegno.
L’otto marzo, con le iniziative di mobilitazione che quest’anno lo caratterizzano, è la giornata in cui far sentire più forte questa determinazione.

Così parlò Lauro Boldrini dal suo profilo Facebook. E il fatto che il presidente – donna – della Camera dei Deputati parli di ‘discriminazione di genere’ dovrebbe scatenare ilarità in chiunque avesse in testa più di un paio di neuroni. Quindi non nei suoi seguaci.

La verità è che lei e le fanatiche come lei hanno fatto carriera sul business delle ‘discriminazioni’. Il che è tipico delle società senescenti nelle quali il vittimismo viene elevato a valore supremo dai non-pensanti. Basti pensare a quanto avvenuto con UNAR e relative marchette.

Viviamo nell’epoca, oscura, in cui chi alza più in alto il vessillo del vittimismo vince. Gay, immigrati, islamici, femminazi e altre categorie sgomitano per avere un posto al banchetto delle spoglie della nostra civiltà.

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Il motivo della escalation di questa religione delle false vittime è duplice. Innanzitutto è utile al Sistema per distogliere l’attenzione dalle vittime reali: segnalare una inesistente discriminazione di genere, evita di porre l’attenzione sulla reale discriminazione a cui sono sottoposti tutti i lavoratori (maschi e femmine) messi in concorrenza con manodopera low-cost estera e immigrata. E poi serve ai suoi sacerdoti – stile Boldrini – a fare soldi e carriera: lo dimostrano, ad esempio, i finanziamenti a pioggia alle varie associazioni gay e femminazi.

Infatti quello delle ‘discriminazioni’ ipotetiche è, prima di tutto, un grande business.

Fonte: Identità.com