Embargo russo: colpo di grazia alla ‘frutta italiana’

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“Stiamo andando, nel totale disinteresse, verso la sparizione dei nostri frutteti, con ricadute che saranno disastrose in termini economici, sociali e occupazionali. Veniamo da anni di crisi continua dei prezzi e di eventi calamitosi”. Lo dichiara Giampaolo Sgarbi, frutticoltore e presidente della zona Coldiretti Fiesso, territorio dove stanno scomparendo i frutteti dalle campagne.

La frutticoltura sta soffrendo una crisi strutturale: prezzi alla produzione che non retribuiscono i costi, speculazioni lungo la filiera con rincari immotivati e, soprattutto, camionate di frutta che arriva dall’estero in tutte le stagioni, senza controllo.

Come se non bastasse, ecco arrivare il harakiri renziano che ha accettato di partecipare alle sanzioni suicide contro la Russia.

Così da ieri, 7 agosto, l’embargo russo sulle importazione agroalimentari dalla Ue: circa due milioni di euro in frutta e ortaggi esportati nel 2013 (dati Eurostat).

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Sono già stati bloccati i camion della Cofruta di Giacciano, la maggiore realtà cooperativa ortofrutticola polesana che vede congelarsi tutti i contratti in essere con la Russia, unico canale commerciale che dava fiato al mercato stagnante. Si parla dello zoccolo duro della frutticoltura del medio-alto Polesine, fatta di aziende rivolte ai mercati generali, ai commercianti e alla grande distribuzione, non già di quelle strutturate per la “vendita diretta”, per le quali valgono logiche economiche diverse. Frutteti di pesche, nettarine, albicocche, pere, mele, kiwi. E si aggiungano le piantagioni di fragole, meloni e cocomeri.

“Ci vuole un impegno politico – ricorda il presidente provinciale di Coldiretti Mauro Giuriolo – per difendere queste produzioni che sono un patrimonio economico per tutto il territorio, e ancora, più controlli e trasparenza lungo le filiere produttivo-distributive, valorizzando i nostri prodotti eccellenti che provengono da territori unici. Vogliamo poter competere con gli altri paesi europei con le stesse regole e che si utilizzino mezzi tecnici uguali, almeno in ambito Ue. Ci auguriamo che il commissario europeo all’Agricoltura accolga la richiesta di Italia, Francia e Spagna per un intervento urgente a salvaguardia del settore”.

“Occorre una forma di controllo sulle importazioni che tanti stati già applicano – aggiunge Sgarbi. – Cioè un tetto agli ingressi di frutta estera nel momento in cui va a maturazione quella nazionale. Non si può cominciare a staccare fragole o albicocche, quando i consumatori sono già stanchi di vederle e le hanno pagate, talvolta, molto profumatamente. Infatti, se al produttore le albicocche il commerciante le compra a 65 centesimi al chilo, sottocosto, al supermercato le si trova a anche a 3,20-3,90 euro. Ma non ho mai visto in vendita le nostre belle pesche, il calibro AA, per intenderci sono quelle di 21 centimetri di circonferenza”. “Il produttore di frutta è l’unico soggetto della filiera che lavora nella totale incertezza del suo reddito – aggiunge ancora Sgarbi – e questo è un insulto alla professionalità dei nostri frutticoltori. Incertezza perché subisce sia i prezzi bassi che i costi di produzione: non può stabilire il prezzo giusto per il suo prodotto che gli remuneri le spese vive, mentre il rivenditore di mezzi tecnici ha il suo listino; il commerciante che viene in campagna paga quello che vuole (ed ormai anche quando vuole) strozzando il produttore perché sa che l’invenduto andrà buttato. Anche il conferimento alle cooperative ha i suoi inconvenienti, perché la coop liquida l’anno successivo a quello di produzione, col rischio che il produttore si veda pagare un prezzo inferiore a quello che ha già speso per produrre e raccogliere”. “Non solo il prezzo basso alla produzione è un insulto alla professionalità del frutticoltore – conclude Sgarbi – ma è un’offesa anche al consumatore, che nonostante questa situazione, è costretto a pagare la frutta anche del 400 per cento in più di quello che è costata alla produzione, senza che questo surplus arrivi ai frutticoltori. E, intanto, le aziende chiudono e sarà un danno economico immenso per l’indotto, per l’ambiente e per l’economia del territorio in generale”.

Invece il governo va in direzione opposta. Causa il blocco delle esportazioni verso un mercato fiorente come la Russia, e apre i nostri mercati alla frutta low-cost africana. Magari condita con un pizzico di Ebola.




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