Tu chiamala, se vuoi, sostituzione etnica. Slogan in più lingue e seconde generazioni come testimonial. “La nostra è una realtà multietnica, non possiamo ignorare le comunità. Possono loro, ignorare ‘la comunità’? Loro che pagano milioni di euro degli analfabeti per rincorrere un pallone? Ovviamente no.
Potevano usare come ‘testimonial’ delle ‘seconde generazioni’ Mohamed Jarmoune, giovane ‘nuovo bresciano’ che organizzava una cellula terroristica in Lombardia. Potrebbe attirare un sacco di ‘nuovi italiani’ con zainetti esplosivi nello stadio di Brescia.
Peccato poi che questa strategia demenziale sia stata già portata avanti con insuccesso in Inghilterra. Non è servito a nulla. Il calcio, soprattutto quello locale, ha un legame quasi etnico con la città. Andate in uno stadio di alcune delle città più multietniche dell’Inghilterra, dove quasi la metà dei residenti è non autoctona. E poi andate a vedere la partita della squadra locale, e lo stadio avrà questo aspetto:
Quindi, non solo è una campagna oscena dal punto di vista culturale e del legame con la propria terra, alla ricerca del business, ma anche una campagna fallimentare: perché in cerca di un business che non esiste.
Ciò non toglie che anche questa piccola notizia metta in evidenza la strategia kyengiana del ‘genocidio dolce’: con la sostituzione etnica, in ogni campo, degli italiani con gli immigrati. Ma i popoli non sono intercambiabili, e la qualità conta. In ogni campo. Presto, anche i cultori del business se ne renderanno conto. E poi faremo i conti.