La telefonata che potrebbe cambiare le cose. Questo quanto sostiene l’accusa (che chiede il processo per omicidio volontario) nei confronti di Mirko Franzoni, l’uomo che il 14 ottobre 2013 a Serle sparò e uccise Eduard Ndoj, il giovane ladro (aveva 26 anni) che solo pochi attimi prima (insieme a un complice) era passato probabilmente a “ripulire” la casa del fratello.
Franzoni stava tornando a casa dopo una battuta di caccia, venne avvisato da un vicino: il primo ladro riuscì a scappare, il secondo corse verso il paese. E Franzoni lo attese in Via Castagneto per quasi un’ora: nel faccia a faccia, stando alla difesa dell’imputato, sarebbe partito un colpo di fucile incidentalmente e solo durante la ravvicinata colluttazione.
Per l’accusa sarebbe andata diversamente: ci sarebbe una telefonata, appunto. Quella di un residente – tra l’altro invitato a chiamare i carabinieri proprio da Franzoni: mentre raccontava in “diretta” quello che stava accadendo, al 112, avrebbe “registrato” (inconsapevolmente) i rumori di fondo di quella sera.
Da quella telefonata, sempre secondo l’accusa, si udirebbe prima un nitido colpo di fucile, e poi altri due rumori non meglio definiti. E chi chiede l’omicidio volontario non esclude allora che quei due rumori potrebbero essere stati altri due spari.
Se entri in casa mia, io ti sparo. Una, due, tre volte e quante volte mi pare. Non chiedo il permesso ad un fanatico in toga.