L’italiano ucciso dal migrante: sua presenza lo infastidiva

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Vogliamo raccontare la storia di un italiano che non c’è più, perché un ospite ha deciso che la sua presenza lo infastidiva:

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Diamo fastidio ai migranti. A casa nostra. Poi, c’è chi dice che sono risorse. Che vanno accolti. Anche se fossero risorse, la perdita della nostra identità sarebbe una perdita inestimabile: ma non sono neanche risorse.




Un pensiero su “L’italiano ucciso dal migrante: sua presenza lo infastidiva”

  1. Gli odierni imperialisti stanno perpetrando il vulcanico peggioramento parossistico degli stessi identici orrori.

    Affinché ci svegliamo, affinché ci riuniamo, deve tornare il metus hostilis, la paura del nemico.

    Gl’italiani della fine del XIX secolo, del XX e dell’inizio del XXI perpetrarono e stanno perpetrando gli stessi errori imperialistici / apolidistici degli assiri del IX e dell’VIII secolo a. C. / a. e. v., e dei babilonesi dell’VIII, del VII e del VI secolo a. C. / a. e. v.
    La famigerata torre di Babele fu costruita da Nabucodonosor II, il quale tiranneggiò tra il 604 e il 562 a. e. v.
    Da dopo la terza guerra punica, iniziò la decadenza, la frantumazione della Res Publica.
    La decadenza e la distruzione della Res Publica furono perpetrate dall’imperialismo, dall’apolidismo, dall’ultracotanza italicida.

    ”Infatti, prima della distruzione di Cartagine, il Popolo e il Senato Romano trattavano insieme tutte le questioni della Repubblica, in perfetta concordia e moderazione, e non vi era tra i cittadini competizione per l’ambizione di primeggiare né di dominare: il timore dei nemici manteneva i cittadini in comportamenti corretti. Ma quando quella paura svanì dagli animi, allora naturalmente vi penetrarono quei mali che la prosperità comporta, la dissolutezza e la tracotanza. Così quella tranquillità che nelle difficoltà avevano desiderato, una volta ottenuta divenne più dura e più dannosa. Infatti, i nobili trasformarono in licenza il loro prestigio, il popolo la sua libertà: ognuno a pretendere per sé, ad arraffare a far man bassa. Così tutto fu dilaniato fra le due parti, e la Repubblica, che si trovava nel mezzo, ne fu straziata.”
    Gaio Sallustio Crispo, La guerra giugurtina, 41-2.

    ://www.ilprimatonazionale.it/cultura/la-forza-viva-della-nazione-perche-tornare-a-leggere-enrico-corradini-268202/

    ://www.ilprimatonazionale.it/cultura/unita-e-la-potenza-delle-nazioni-enrico-corradini-256550/

    Enrico Corradini non capì nulla della decadenza e della caduta dell’italicida impero romano.

    È come se l’Italia, dopo la distruzione di Cartagine nel 146 a. C. / 608 a. U. c., e dopo la Liberazione di Roma il 20 settembre 1870 / 2623 a. U. c., avendo improvvisamente «scoperto» che al di là dei suoi confini tradizionali c’erano altre terre e altre ricchezze, e che la sua superiorità militare sui vicini era schiacciante, non abbia saputo resistere all’impulso di impossessarsene.

    ”In una lettera di età neo-assira la città di Babilonia proclama fieramente le sue tradizioni di «libertà» e di cosmopolitismo: […] chiunque entri in città viene protetto, sia esso un babilonese o uno straniero, un sedentario o un nomade, un uomo o una donna, un essere umano o perfino un animale […] All’ideologia imperiale dell’unificazione per soppressione del diverso, essa contrappone inconsciamente l’ideologia dell’unificazione per accoglimento del diverso.”
    Ibidem, XXXI, ”Il collasso dell’impero, i Caldei”, pagine 774-5.

    Stiamo ricalcano i medesimi errori dell’impero assiro e dell’impero babilonese.
    Il tragico difetto è sempre il medesimo: l’assenza di autocontrollo, la schiavitù agl’impulsi beluini.
    La beluina follia ci fa precipitare nell’orrido abisso infernale.
    Noi Italiani dobbiamo imparare ad autocontrollarci, ad avere l’imperio su noi stessi, a rafforzarci interiormente e a fortificarci internamente.
    Noi Italiani dobbiamo resistere agl’impulsi feroci, feroci contro noi stessi! che nuocciono a noi stessi!

    ”Recuperate le dimensioni tradizionali, l’impero aveva di fronte due problemi, uno di riorganizzazione interna e uno di crescita ulteriore. La riorganizzazione sembrava più urgente: ma i successori di Assurnasirpal II non seppero o non vollero mettervi mano, avventurandosi in un’ulteriore espansione non adeguatamente fondata.

    La prima espansione e la crisi di crescita (858-745)

    Salmanassar III ([…] 858-824) racconta nelle sue iscrizioni annalistiche un’interminabile serie di campagne annuali, […] con una continuità e un impegno i cui risultati restano però discutibili. È come se l’Assiria, avendo improvvisamente «scoperto» che al di là dei suoi confini tradizionali c’erano altre terre e altre ricchezze, e che la sua superiorità militare sui vicini era schiacciante, non abbia saputo resistere all’impulso di impossessarsene.”

    Mario Liverani, ”Antico Oriente. Storia società economia”, Laterza, 2020, XXVIII, Lo sviluppo dell’impero neo-assiro, pagina 674.

    L’animo umano insuperbisce atrocemente, se non c’è una forza maggiore che lo reprima.

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