Abbiamo 116.834 scrocconi in hotel e Meloni non li vuole rimpatriare

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Il governo Meloni dimostra di non comprendere la situazione. E di non avere in testa un piano efficiente per i rimpatri di massa.

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Il motivo principale per il quale è impossibile procedere ai rimpatri è la difficile identificazione della nazionalità del clandestino: quindi, non si sa dove rimandarlo. Questo problema si risolve in un modo intelligente: accordi con un Paese terzo in Africa che si prende tutti i clandestini – in cambio di tanti tanti soldi, comunque meno di quelli che spendiamo per tenerli qui – e li tiene in attesa della identificazione per il rimpatrio. Una volta in Ruanda (paese a caso), tutti i tunisini direbbero di essere tunisini pur di tornare in Tunisia.

Invece si insiste con i ridicoli ‘premi’ ai Paesi d’origine dei clandestini, ovvero: se ti riprendi i tuoi clandestini noi facciamo entrare più tuoi immigrati regolari. Che è più dannoso di tenersi i clandestini.

Senza contare questi:

Sono già tutti registrati e vivono in hotel italiani a scrocco perché la Meloni è una totale ignava incapace di fare quello che aveva promesso.

Il governo italiano non ha intenzione di aspettare che i partner europei mantengano gli impegni sul tema immigrazione e inizino a collaborare. Il boom di sbarchi registrato nei primi cinque mesi dell’anno (50.405, il 155% in più rispetto allo stesso periodo del 2022) impone di fare da sé. Per questo motivo il ministero dell’Interno, guidato da Matteo Piantedosi, intende dare un impulso concreto ai rimpatri sia con i paesi di partenza che con quelli di transito disposti a collaborare. Il piano del Viminale si muove su quattro grandi direttrici: il rafforzamento dei Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio) dove è in corso una serie di revoche nei confronti delle cooperative a cui in questi anni è stata affidata la gestione; semplificazione delle procedure per i rimpatri; aumento del personale strettamente dedicato a questo compito; accordi bilaterali con un sistema di «premialità» per i Paesi «collaborativi». Uno strumento di premialità, ad esempio, è il decreto flussi, che consente di far entrare regolarmente i migranti provenienti soprattutto da quegli Stati che dimostrano di collaborare sia in termini di rimpatri che attraverso il contrasto all’immigrazione irregolare.

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Fino ad oggi abbiamo assistito a un estenuante tira e molla in sede europea. Di concreto c’è il fatto che Giorgia Meloni è riuscita ad imporre al Consiglio europeo di affrontare seriamente il tema. Lo ha fatto nel vertice del febbraio scorso, quando la Commissione Ue si è impegnata a formulare una serie di proposte per la tutela delle frontiere esterne e anche per dare nuovo impulso ai rimpatri. I tempi, però, sono lunghi. Come ha ribadito più volte la presidenza di turno svedese l’orizzonte è quello di raggiungere un’intesa nel 2024. Ovvio che non si possa aspettare tanto con migliaia di migranti che ogni giorno sbarcano sulle coste siciliane e calabresi. Recentemente il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che sul tema dell’immigrazione «l’Italia non può più essere lasciata sola». Parole apprezzate da Palazzo Chigi, ma che fanno il paio con quelle pronunciate pochi giorni prima dal ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin, il quale ha accusato il governo italiano di essere «incapace» di risolvere il problema dei flussi migratori.

I Paesi Ue continuano di fatto a muoversi senza una regia ben definita. La presidenza svedese, che si appresta a cedere il timone alla Spagna, ha proposto recentemente di indennizzare gli Stati di frontiera (l’Italia è uno dei principali, se non il principale) con 22mila euro per ogni migrante non ricollocato tra i partner europei. È la dimostrazione della scarsa volontà di farsi carico dei profughi che sbarcano sulle coste italiane. Il compromesso svedese, però, ha già fatto registrare la contrarietà di Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia. Anche l’Italia è contraria, come ha spiegato Piantedosi dopo la telefonata con il suo omologo austriaco di tre giorni fa: «Il nostro Paese non sostiene alcuna ipotesi di rilancio del meccanismo della “relocation” (i ricollocamenti, ndr) in considerazione del fallimento dell’accordo raggiunto dal precedente governo lo scorso giugno, né di forme di compensazione economica, ritenute altrettanto fallimentari». Tradotto: visto che le promesse sono sempre state disattese, l’Italia non conta più sulla solidarietà europea. Quindi, la trattativa in ambito europeo proseguirà solo sul blocco delle partenze e sull’aumento dei rimpatri, prosegue la nota – è orientata prioritariamente ad «attraverso il rafforzamento anche in ambito europeo dei rapporti di collaborazione bilaterale già intrapresi dall’Italia», spiega il Viminale. Di tutto ciò si parlerà al Consiglio Giustizia e Affari interni in programma l’8 e il 9 giugno in Lussemburgo.

Al momento la maggior parte dei migranti che in arriva in Italia salpa dalla Tunisia (25.937 nei primi cinque mesi del 2023), seguita dalla Libia (22.462), Turchia (1.769) e Algeria (237). Ma i Paesi d’origine, con cui si conta di stringere accordi efficaci, sono altri: Costa d’Avorio (7.380), Guinea (5.996) ed Egitto (5.478). Significativo che i tunisini arrivati in Italia dal primo gennaio sono solo 3.431.

I rimpatri vanno militarizzati. Se ci fosse la volontà, si potrebbero rimpatriare i 500mila clandestini nell’arco di un anno. Di sicuro nei cinque anni di legislatura:

Possiamo espellere 500mila clandestini: costa 50 volte meno che tenerli in Italia




Un pensiero su “Abbiamo 116.834 scrocconi in hotel e Meloni non li vuole rimpatriare”

  1. Chi è di destra non può votare una donna, ovunque stanno fanno solo danni
    Von Der pippen
    La DegraDoE
    La coatta

    Bisogna iniziare ad integrarsi con i beduini e a mettere le donne nel domopack e a bastonarle tutte le volte che dicono stronzate

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