Spacciatori marocchini «vu cumprà»: «Grazie italia, ci hai reso ricchi»

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Ouled Youssef (Marocco) Lungo i 1.600 chilometri percorsi (qui la prima parte del reportage, ndr) abbiamo incrociato una quarantina di posti di blocco della Gendarmerie royal, allestiti prima e dopo i caselli autostradali delle città ma soprattutto nelle estese e sperdute campagne.

Il paese del Marocco che si arricchisce con lo spaccio degli immigrati in Italia: milizie armate

In Italia ad arricchirsi spacciando.

Le pattuglie, formate da 3 unità, garantiscono la vigilanza del territorio specie per i movimenti di irregolari, pur ricordando come, in conseguenza dei soldi ricevuti dall’Unione europea, a oggi il Marocco non sia un affollato punto di partenza sul Mediterraneo.

La Ue paga il Marocco perché non partano clandestini verso la Spagna. Non la Tunisia perché non partano clandestini verso l’Italia.

Le 3 unità della Gendarmerie royal sono in enorme parte maschili; rare le donne: una di queste scruta lo scarso traffico a lato di un bazar ricavato in un garage, al cui interno un anziano, aspirando il profumo di differenti incensi, vende Pepsi gelata, e la nipote fa i compiti poggiando il quaderno su un basso frigorifero. Chiediamo al signore, e parimenti alla pattuglia, indicazioni per il villaggio di Ouled Youssef, assente perfino su una nota mappa francese. Le risposte sono in arabo e quindi inutili. Non c’è problema. A furia di domandare per strada, si finisce dentro una geografia di lingua italiana: quella del medesimo Ouled Youssef. Perché la storia, ascoltata da un diplomatico, è vera: da qui, negli anni Ottanta, sono partiti i primi cosiddetti «vu cumprà» (termine che sul posto non piace affatto). Specie quelli dei tappeti.

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Dopo un labirinto di sentieri nei campi assolati, il villaggio conta una via principale che ospita dei bar, compreso il «café Duomo» gestito da un cinquantenne che stava in via Bolla («Case popolari. Sempre regolare, mai abusivo»), e i negozi dei macellai. Fra galline e strazianti ossuti e zoppi cani randagi, irrompe uno scoppiettante furgone da cui scende il signor Hassan. Avendogli spiegato un macellaio, conosciuto in precedenza, il tema in oggetto — ovvero la genesi dei «vu cumprà» dei tappeti —, egli s’appoggia a delle balle di fieno e attacca a conversare. Le balle son di suo proprietà: il 56enne Hassan è un imprenditore agricolo. Dunque, i tappeti. «Andavamo dal mare a Milano, e tutti vendevamo i tappeti». L’incipit, com’è ovvio, stava nella povertà. L’estrema povertà. Gli allora giovanissimi compaesani di Ouled Youssef rappresentavano la manovalanza degli ideatori del commercio: gli imprenditori della vicina città di Béni Mellal (siamo nel centro del Marocco), i quali individuarono nell’Italia un privilegiato approdo. Da Hassan come da altri, sentiamo unicamente parole di ringraziamento. «Dovevamo vendere, e se vendevi ti arrivavano i premi. A Milano c’erano dei capi per verificare che nessuno di noi intascasse di nascosto dei soldi… Ma se uno aveva fame, e insisteva, trovava la signora che non aveva bisogno di un tappeto ma che lo comprava lo stesso. E tu mangiavi e mettevi da parte i risparmi».

Forse non sarà il caso di Hassan, che nel mentre, insieme ai tappeti, vendette sigarette e vestiti, e lavorò come muratore e verduraio, ma una volta rimpatriati, da Ouled Youssef molti marocchini, stufi delle campagne, si sono trasferiti a Casablanca, Marrakech o Fes divenendo commercianti. In ogni modo, se i marocchini ci misero del loro, tanto del loro — fu fatica vera, bastarda —, noialtri che li accogliemmo, alla lunga, abbiamo consentito la configurazione del seguente scenario, che ci viene ripetuto nel villaggio passo dopo passo: «Siamo grati a Milano. Siamo diventati ricchi. O almeno, ora stiamo bene».

Precisazione doverosa: a Ouled Youssef vi sono dei negozianti che a una scontata domanda — «Che faceva a Milano?» —, rispondono sorridendo. Ovvero ad annunciare l’esistenza criminale. «Il giro del fumo» lo chiamano se sollecitati, con basi al Corvetto e nell’hinterland, ed epiloghi in galera. Le conversazioni vengono però presto troncate: il silenzio è virtù. Il tassista Hamid, ammesso che sia il suo nome, cede alla vanità mettendosi in posa per la foto nel narrare le gesta da pusher; quando arriva un vecchietto destinato a Béni Mellal, saluta di fretta e scortese.

Hassan ricorda che, dal villaggio, la gente ancora parte. Essendo domenica è chiuso il negozio di Youssef, la cui agenda è fitta di appuntamenti per il visto e i biglietti aerei Ryanair, EasyJet e Wizz. A bordo, con provenienza da una cittadina a un’ora di distanza, salgono anche ragazzi.

Vengono a spacciare anche loro. Per diventare ricchi.

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4 pensieri su “Spacciatori marocchini «vu cumprà»: «Grazie italia, ci hai reso ricchi»”

  1. la merda EU paga x non farsi invadere dagli invasori come con la Turchia
    cioè invece di schierare militari armati e sparare cosi da dare esempio ai prossimi invasori
    costringe i popoli europei a pagare tasse a mai finire x pagare il NoInvasione.
    vaffanculo

    1. Anche questo è un segno di decadenza. Il romano impero, quando ormai di romano c’era sì e no il nome, nel III secolo, quando l’Italia ormai era non più signora delle province, ma umile serva dell’imperatore, del suo esercito multinazionale e della sua burocrazia, alla pari delle altre province soggette, usava pagare tutti i popoli barbari, e guai a saltare un pagamento, l’invasione era assicurata. Ma, spessissimo, invadevano ugualmente, inventando balle su balle per ‘giustificarsi’. Avevano la forza militare dalla loro, ormai, e l’impero era sulla difensiva, sentivano l’odore del sangue, e vedevano l’oro da questa parte della frontiera, indifeso, spesso, e quindi se lo prendevano. Sia che lo ricevessero come tributo, sia che lo prendessero con la forza facendo man bassa.
      Ora siamo nella fase in cui paghiamo, ma l’invasione avviene lo stesso, del resto, è tutto funzionale. I migranti arrivano, meticciano gli autoctoni, umiliano gli uomini e rendono dipendenti e deboli con le droghe e più poveri i popoli indigeni, ormai del tutto privi di tradizioni militari virili. Tutto fa parte del grande gioco, e presto ci troveremo capi di stato e ministri che ci domineranno. Già accade, in diversi paesi, anche importanti. In Italia abbiamo una con 3 o 4 cittadinanze, che si candida a (s)governarci, che Dio non voglia.

  2. Ma pure i genitori che non riescono a tirare su figli che non siano deboli vigliacchi e passivi. Col cellulare in mano e a seguire gli influencer. Non è così che si mantiene forte un paese.

I commenti sono chiusi.