I clandestini di Cutro: “Taxi da Istanbul a Smirne per imbarcarci e poi 8mila euro”

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«Il quarto giorno il mare è diventato brutto. Abbiamo pregato e basta. Dopo l’urto ognuno ha cercato di salvasi da solo, aggrappandosi a dei pezzi di legno della barca». A raccontarlo venerdì uno dei clandestini del naufragio di Steccato di Cutro, ascoltato nel corso dell’incidente probatorio davanti ai giudici del Tribunale dei minorenni di Catanzaro che devono stabilire la responsabilità del 17enne pakistano indicato come uno degli scafisti.

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«Prima di partire – ha spiegato – gli scafisti non ci hanno detto se l’arrivo sarebbe stato sicuro o insicuro, sulla spiaggia o in un porto. Ma noi contavamo sul fatto che appena giunti nelle acque italiane ci avrebbero salvato.».

Quella di venerdì è stata la prima delle tre giornate per l’incidente probatorio

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Uno dei testimoni sentiti venerdì, già una settimana prima dello sbarco di Cutro, aveva tentato di imbarcarsi da Smirne, tornando indietro perché la barca attesa non era mai arrivata. Il clandestino ha dunque fatto ritorno a Istanbul in taxi proprio assieme al 17enne, con il quale ha diviso la spesa per il viaggio.

In taxi da Smirne a Istanbul è come da Napoli a Milano. Disperati.

«Mi hanno fatto stare sempre sottocoperta – ha raccontato un altro clandestino -. Non mi sono reso conto che il mare era così tanto agitato, da sotto non si sentiva. Il prezzo del viaggio: 8.100 euro. Gli scafisti mi hanno rassicurato ha aggiunto -, ma da chi aveva affrontato il viaggio prima di me sapevo che, giunti nelle acque italiane, saremmo stati salvati. Sapevo che l’Italia protegge. Quando sono arrivato sulla spiaggia c’erano solo un pescatore e due carabinieri».




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