Pakistano regolare uccide la madre a martellate: «passi troppo tempo sul cellulare»

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«Sangue, martello, figlio, morta». Sono le uniche parole che Alì Asghar, 44 anni, riesce a pronunciare nel suo italiano stentato dopo essersi presentato al comando della polizia municipale di Pinerolo. Sono le 9.45 e l’operaio pakistano ha il fiatone e gli abiti sporchi di sangue. Due agenti lo seguono di corsa in via Sommeiller 32, a poche centinaia di metri di distanza, per capire cosa sia successo nell’alloggio al primo piano di quella storica palazzina riverniciata di rosa nel centro della città. Alì rimane in strada assieme alla figlia di 17 anni che viene avvolta in una coperta termica dai volontari della Croce Verde.

I due vigli salgono le rampe di scale in pietra ed entrano in casa seguendo le tracce di sangue. Nell’ingresso ci sono due letti, a destra una camera e a sinistra la cucina, dove Rubina Kousar, 45 anni, è riversa per terra. Ha il volto sfigurato da una raffica di colpi e dall’altro lato della stanza suo figlio Imran Ahmad, con i capelli rasati quasi a zero, stringe in mano un pesante martello. Gli ordinano di buttarlo a terra, ma lui non reagisce, non dice una parola. Ha lo sguardo perso nel vuoto e si lascia disarmare senza opporre resistenza, mentre il medico e gli infermieri cercano di rianimare Rubina.

Respira ancora, ma i colpi inferti sulla nuca sono stati fatali e dopo qualche interminabile minuto il suo cuore smette di battere. Imran viene preso in custodia dai carabinieri della compagnia di Pinerolo e portato in caserma, dove continua a rimanere in silenzio. Anche quando viene formalizzato l’arresto con l’accusa di omicidio volontario dalla sua bocca non esce neppure un fiato e nemmeno il padre riesce a spiegare il movente.

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Grazie all’intervento di un interprete racconta ai carabinieri di essere arrivato a casa e di aver trovato la moglie priva di sensi sul pavimento. Domenica scorsa Alì era stato fermato dalla guardia di finanza mentre vagava per il centro di Pinerolo in stato confusionale. Aveva appena litigato furiosamente con Imran che lo aveva preso a pugni facendogli saltare un dente.

«Passi troppo tempo sul cellulare invece di lavorare», lo aveva rimproverato il padre, che però in quell’occasione non aveva voluto sporgere denuncia. Forse, se lo avesse fatto, la tragedia di ieri mattina si sarebbe potuta evitare, ma il movente dell’omicidio resta ancora un mistero. Le indagini, coordinate dal pm Giorgio Nicola, dovranno accertare cosa sia accaduto all’interno di una famiglia che abita da 7 anni a Pinerolo e non ha mai avuto a che fare con la giustizia. Alì lavora in una fabbrica di saldature a Roletto, un terzo figlio vive ancora in Pakistan: «Persone molto riservate – raccontano i vicini Augusta Martina e Enrico Lacroce –. Li vediamo uscire e rientrare in bicicletta. Buongiorno e buonasera, niente di più. Ma non abbiamo mai sentito un grido». Ieri mattina, invece, Imran e Rubina hanno litigato. La figlia 17enne era in bagno e ha chiamato il padre dicendogli di tornare a casa. Ma era troppo tardi.la compagnia di Pinerolo con l’accusa di omicidio.

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