Odio razziale a Corinaldo, così la banda di africani voleva strage italiani

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Se i responsabili fossero italiani e le vittime immigrati, avrebbero sicuramente contestato l’odio razziale.

Strage di Corinaldo, secondo la Cassazione la strage «provocata dall’uso dello spray. La banda era consapevole» del risultato: quindi volevano una strage di italiani.

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La banda usò la bomboletta spray al peperoncino in piena consapevolezza, con l’obiettivo di compiere dei furti, e la strage che ne seguì fu una conseguenza «ampiamente prevedibile». È quanto scrivono i giudici di Cassazione nelle motivazioni della sentenza che il 12 dicembre ha confermato le condanne a 12 anni e mezzo e 10 anni e 9 mesi per i sei giovani della Bassa Modenese che la sera tra il 7 e l’8 dicembre 2018 provocarono la strage di Corinaldo, dove morirono 5 adolescenti e una mamma di 39 anni che assistevano a un concerto al locale “Lanterna Azzurra”. I componenti del gruppo, la cosiddetta “banda dello spray”, dovevano rispondere di omicidio preterintenzionale, associazione per delinquere finalizzata a furti e rapine, lesioni personali anche gravi. Oltre cento furono, inoltre, i feriti.

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«Tutti gli imputati erano presenti, la sera tra il 7 e l’8 dicembre 2018 presso la discoteca “Lanterna Azzurra”; tutti erano adusi all’utilizzo dello spray al peperoncino per la commissione di azioni predatorie ed erano assolutamente consapevoli degli effetti della diffusione della sostanza urticante», scrivono i giudici della Quinta sezione penale della Cassazione. Gli imputati, sottolineano i supremi giudici, erano giunti alla discoteca, «in accordo tra loro, al fine di commettere furti in danno degli avventori; erano a conoscenza che lo spray al peperoncino, già usato in passato, fosse nella disponibilità del gruppo per essere utilizzato ai fini della consumazione e del buon esito delle sottrazioni di monili».

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I componenti della banda dello spray «erano consapevoli» di quello che stavano facendo
«Tanto permette di dedurre con sufficiente certezza – si legge nelle motivazioni – come tutti i ricorrenti, utilizzando consapevolmente lo spray (o anche solo approfittando dell’uso altrui), fossero pienamente consapevoli delle lesioni conseguenti alla diffusione della sostanza urticante e ne abbiano accettato la verificazione, quale effetto (strumentale) necessario per il raggiungimento del loro obbiettivo ultimo: la consumazione delle attività predatorie». «Se non fosse stato utilizzato a fini lesivi lo spray urticante – evidenziano i supremi giudici – non si sarebbe creata una situazione (incontrollabile) di panico generalizzato, le vittime non sarebbero state costrette a fuggire e a percorrere la rampa dell’uscita di sicurezza n. 3, né sulla stessa vi sarebbe stata la presenza di una massa di persone pressante sulle balaustre». La strage, dunque, non ci sarebbe stata. «La morte delle sei vittime – scrivono i giudici della Cassazione – deve ritenersi una conseguenza, ampiamente prevedibile (anche in considerazione della esperienza pregressa, della “competenza” degli imputati e delle concrete circostanze di tempo e di luogo), di una specifica situazione di pericolo determinata dalla condotta intenzionale degli imputati che, consapevolmente, avrebbero partecipato all’utilizzo dello spray proprio per innescare una situazione di confusione generalizzata, strumentale alle condotte predatorie poi effettivamente poste in essere».

«Che fosse stato proprio la sostanza urticante emessa dallo spray la causa del panico è circostanza che la corte territoriale sorregge con ampia argomentazione – proseguono i supremi giudici – dando atto: del rinvenimento, nei pressi dell’uscita n. 3, di una bomboletta spray contenente la sostanza urticante; degli esiti degli accertamenti tecnici effettuati sui reperti (prelevati all’interno del locale, sugli impianti di areazione e nei pressi del bar, nonché su una delle macchine da fumo del locale); della circostanza per cui il fumo scenico (in ipotesi difensiva potenziale fonte di diffusione di altre e diverse sostanze urticanti) fosse stato azionato in precedenza senza alcun effetto secondario. In questo contesto, a fronte di tali dati fattuali, tutte la varie considerazioni mosse dalla difesa in ordine alla distribuzione degli spazi e al conseguente posizionamento della fonte di diffusione della sostanza appaiono francamente ultronee ed irrilevanti. Anche e soprattutto – concludono i giudici della Cassazione- alla luce dell’impossibilità di controllare il panico, una volta innescato».




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