Spagna-Marocco, ottavo dei mondiali in Qatar, è l’ennesima dimostrazione di quanto sia folle lo ius soli.
Ben quattordici giocatori non sono nati sul suolo marocchino. La maggior parte tra Spagna, Belgio, Francia e Olanda, con tre a testa.
C’è poi Walid Cheddira, classe ’98, nato in Italia.
L’attaccante Abde Ezzalzouli vive in Spagna da quando aveva sette anni e il forte esterno Achraf Hakimi è nato a Madrid. Nello staff della squadra marocchina ci sono poi alcune persone con doppia nazionalità.
Munir Mohamedi, il secondo portiere – diventato però titolare nella partita contro il Belgio – è nato a Melilla, una delle due exclavi spagnole in Marocco, e ha iniziato a giocare a calcio a Ceuta, che si trova a un’ora e mezza di macchina da Tangeri. Walid Regragui, il quarantasettenne allenatore, è nato in Francia ma cresciuto a Fnidq, la città del Marocco più vicina al confine con Ceuta.
Per la federazione calcistica del Marocco lavora Rabie Takassa, che ha il compito di seguire i calciatori marocchini in Spagna, quando serve provando inoltre a convincere quelli con doppia nazionalità a scegliere il Marocco anziché la Spagna. Takassa ha spiegato che ormai «almeno tre o quattro giocatori ispano-marocchini giocano in ogni categoria della nazionale marocchina», ed è un numero destinata a crescere.
Questi sono tutti fratelli di milioni di marocchini e altri afroislamici nati in Europa che hanno le nostre cittadinanze solo per interesse ma non sono come noi. Per questo è urgente abrogare i ricongiungimenti familiari, abolire i sussidi alla natalità degli invasori e tornare allo ius sanguinis integrale.
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