Nessun politico al funerale di Cristian, perché italiano ammazzato da immigrati

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«Cristian merita giustizia». Lo ripete a chiunque vada ad abbracciarla mamma Marinella Pasini. Fuori dal sagrato della chiesa di Trino Vercellese dove questa mattina si sono svolti i funerali di Cristian Martinelli, il 35enne massacrato a sprangate da un gruppo di giovani immigrati nordafricani e moldavi venerdì scorso, mentre si trovava in stazione a Casale Monferrato.

Lo ha detto anche ai carabinieri, rappresentati da Valerio Azzone, capitano dei carabinieri di Casale Monferrato.

Un sagrato pieno di persone, ma nessun politico nazionale, che volevano dare l’ultimo saluto a quel giovane conosciuto da tutti sia a Morano, nell’alessandrino, sia a Casale.

«Era una persona buona. Non dava mai fastidio a nessuno» raccontano gli amici che non hanno mai lasciato da sola mamma Marinella e la sorella Valentina.

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Sono gli stessi giovani che sabato si erano dati appuntamento in stazione per ricordare la vittima. Anche per questo avevano esposto i cartelli : «Non tutte le bestie sono in gabbia».

Intanto, nel quasi totale silenzio mediatico, proseguono le indagini per la morte del 35enne. Che ha un difetto per i giornalisti pezzi di merda: è italiano.

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I militari stanno cercando di ricostruire quanto accaduto e di poter identificare così il resto della gang di immigrati che venerdì con Nicolae Capstrimb, moldavo di 20 anni, ha aggredito e ammazzato Cristian, italiano.

Secondo i testimoni la baby gang, conosciuta come «Iron hands», composta almeno da una quindicina di persone, minorenni e maggiorenni, quasi tutti residenti in città o abitanti nelle frazioni. Tra questi anche una ragazza e il suo fidanzato. Sarebbero loro i due a guidare, istigare gli altri e a scegliere le potenziali vittime a cui sottrarre cellulari e altri oggetti. Come accaduto a Cristian a cui erano stati sottratti gli occhiali da sole di Versace indossati poi dal giovane arrestato con l’accusa di omicidio. Il 35enne, che avrebbe compiuto gli anni proprio lunedì dopo la sua morte, era arrivato in stazione da Morano dove viveva con la famiglia, per andare a fare una visita di controllo. «Aveva avuto qualche problema di droga in passato — raccontano alcuni giovani seduti sulle panchine che circondano la stazione, così come anche la sorella Valentina —. Ma ne era uscito e stava prendendo in mani la sua vita. Ma ora era a posto. Era una persona buona. Non meritava di morire così. E chi è stato deve pagare. Soprattutto perché si vantavano di essere stati loro gli artefici di quella aggressione. Lo hanno detto a tutti. Almeno fino a domenica mattina quando poi hanno scoperto che Cristian non c’era più».




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