Africano rapisce ragazza italiana e la trasforma nella sua schiava sessuale

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L’ennesima drogata che finisce a fare la schiava del suo spacciatore africano. Ringraziate il Pd.

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Con un’amica da Maranello, dove vive, verso la fine di luglio si era spostata nell’Est Veronese. Avevano raggiunto un casolare abbandonato e occupato abusivamente da alcuni cittadini marocchini perché Anna (nome di fantasia) un anno fa aveva conosciuto uno di loro, Mohammed Mobsit. Non c’era mai stato nulla tra loro, qualche telefonata e ogni tanto sniffavano cocaina. Quella fu la sua ultima sera da donna libera: per dieci giorni lui l’ha tenuta chiusa in una stanza senza finestre, privata dei vestiti e del telefono per impedirle di scappare e di chiedere aiuto, presa a calci e pugni perché si rifiutava di avere rapporti sessuali. Un incubo terminato il 5 agosto verso le 13.30 quando lei, approfittando di un attimo di distrazione del suo sequestratore, è riuscita a scappare e a fermare un giovane per strada a San Bonifacio. Lui ha chiamato i carabinieri e quando la pattuglia è arrivata in via Nogarola ha trovato la giovane di 27 anni, originaria di Trani ma domiciliata in Emilia, con il viso pesto, aveva ferite alla testa e sulle mani. Prostrata da 10 giorni di prigionia.

Il racconto Era confusa, spaventata e una volta accompagnata in ospedale ha spiegato cosa era successo, ovvero che dopo aver passato la serata consumando droga si era addormentata, il mattino seguente la sua amica non c’era e Mohammed le aveva detto che non l’avrebbe più lasciata andare. Le aveva fatto togliere i vestiti e indossare indumenti maschili, le aveva preso il cellulare e poi l’aveva controllata a vista. Lui usciva due volte al giorno, al mattino e alle 19.30 e in quelle occasioni la chiudeva a chiave nella stanza all’interno di un capannone che una volta era un pollaio. Ogni tanto le portava qualcosa da mangiare e della cocaina, sostanza che lei, come ha spiegato, assumeva per cercare di estraniarsi da quella situazione angosciante. Aveva anche cercato di scappare ma lui l’aveva bloccata e picchiata. Voleva avere rapporti con lei, al rifiuto seguivano le botte e quella frase ripetuta fino allo stremo: «Ti ammazzo se tenti di fuggire, tu sei solo mia, non andrai mai via da qui. D’ora in poi sono io la tua famiglia». Minacce e cessioni di droga che per gli investigatori avevano uno scopo solo, ridurla in una condizione di prostrazione per far sì che lei diventasse una sorta di schiava e non si opponesse. La sera prima di scappare aveva cercato di prendere il cellulare e chiamare il padre, ma lui se n’era accorto e dopo averle tolto di mano il telefono aveva cercato di strangolarla usando un filo elettrico.

La fuga Il 5 agosto si era appisolata, una volta sveglia ha visto che Mobsit stava sniffando e a quel punto, dicendo che doveva andare in bagno, è riuscita a scappare. Poco distante ha trovato un automobilista e a quel punto è stata soccorsa. Una volta portata in borgo Roma i medici hanno riscontrato contusioni multiple causate dalle percosse mentre al termine del controllo psichiatrico il quadro appariva «compatibile con una reazione acuta da stress post traumatico».

L’arresto Ai militari Anna ha indicato in Mobsit il suo «aguzzino», un uomo di 52 anni noto alle forze dell’ordine per altri reati, e a quel punto la pattuglia si è diretta verso il capannone dismesso. I carabinieri hanno sentito alcuni rumori provenire da una zona distante poche decine di metri e una volta superata la vegetazione hanno trovato un giaciglio di fortuna. C’erano i documenti dell’indagato e 4 cellulari tra cui quello di Anna. Lui era scappato. Lo hanno inseguito per ore attraverso la zona boschiva e i campi di granturco, lui si era spogliato per confondersi meglio in mezzo al mais. Poi è salito su un albero vicino al capannone e sentendosi braccato è passato sul tetto. Era circondato, non avrebbe potuto scappare e a quel punto è sceso e si è lasciato ammanettare. Il pm Federica Ormanni gli ha contestato il sequestro di persona, le lesioni e la rapina, ha disposto il trasferimento in carcere e chiesto l’applicazione della custodia cautelare. Ieri mattina, difeso da Federico Lugoboni, davanti al gip Maria Cecilia Vitolla, Mobsit non ha parlato. L’arresto è stato convalidato e lui resta in carcere.




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