Verona, baby gang: i genitori incitavano i figli a picchiare italiani

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«Fermi tutti, nessuno intervenga, lasciate che si affrontino e facciano un bell’uno contro uno». C’è anche questo risvolto-choc nelle carte dell’inchiesta sui figli degli immigrati residenti a Borgo Roma, Verona: erano proprio i genitori immigrati, testimoni delle aggressioni e primi «tifosi» dei loro figli.

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Erano loro ad incitare i baby picchiatori della Qbr, la banda degli incappucciati che per due anni hanno tenuto sotto scacco mezza città con rapine, furti, minacce, estorsioni. Succedeva perfino questo: padri e madri assistevano ai pestaggi commessi dai figli ma anziché, come ci potrebbe aspettare, bloccarli e fare in modo che si fermassero, erano proprio loro a incoraggiarli e spronarli a continuare, a «fare un bell’uno contro uno».

Così hanno fatto i genitori di uno dei Mohammed (classe 2005, collocato 72 ore fa in comunità) che il pomeriggio del 19 marzo 2021 ha preso di mira due cugini di 17 e 21 anni mentre con alcuni amici giocavano a calcio al Parco San Giacomo.

Minacce, insulti, poi mentre i due rincasavano il più piccolo è stato «puntato» dal 16enne della Qbr: calci, pugni, finché a difesa del 17enne hanno tentato di intervenire il cugino e gli amici con cui fino a poco prima aveva giocato a pallone.

Ma i soccorritori non avevano fatto i conti con i genitori del baby picchiatore straniero della Qbr: sul posto erano infatti giunti la madre e il padre, con quest’ultimo che subito intimava loro di stare «fermi, non intervenite, nessuno si intrometta, lasciate che si affrontino». Nell’«uno contro uno» il 17enne ebbe la peggio: fu preso a botte dal 16enne, che gli strappò maglietta e collana. Alla fine intervenne nuovamente il padre dell’aggressore che dichiarò chiuso il match: «Il genitore – scrive la gip Carola Musio nell’ordinanza – stabiliva che “ok, basta, va bene così” e portava via il figlio».

Nessun aiuto invece venne prestato dai due adulti alla vittima del pestaggio, a cui nel referto del Pronto soccorso sono state poi riscontrate «cefalea e cervicalgia post-traumatica» con prognosi di 8 giorni. «Il 16enne – si legge negli atti dell’indagine condotta dalla pm Silvia Facciotti – ha aggredito la vittima 17enne nonostante la presenza dei propri genitori, i quali incitavano il figlio e impedivano agli amici del denunciante di intervenire in sua difesa».

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Agli investigatori, il minorenne ha anche rivelato che un altro affiliato alla Qbr (si tratta di uno dei minorenni appena finiti in cella, un veronese di seconda generazione nato nel 2004) proprio la settimana precedente lo aveva minacciato su Instagram tramite il suo account dicendogli che avrebbe dovuto «abbassare la testa quando passava».

Nelle stories su Instagram, nella chat su Whatsapp in cui le programmavano e le commentavano spesso deridendo le vittime, le chiamano «paccate»: pestaggi, agguati, aggressioni. Poi obbligavano al silenzio i malcapitati, faccia a faccia e soprattutto sui social: «Hanno minacciato di picchiarmi se lo avessi detto a qualcuno – ha dichiarato uno studente veronese rapinato del borsello – insultandomi con epiteti quali “coglione” e “stronzo”. Dopo avere subìto i loro atteggiamenti vessatori, ora sono stanco e intendo presentare denuncia».

In 12, la metà dei quali infra-18enni, sono stati «chiusi» (che nel loro slang significa portati in carcere) dalla polizia nella maxi retata all’alba di martedì, mentre altri 4 minorenni sono finiti in comunità: ieri i primi a essere interrogati davanti alla gip del Tribunale dei Minorenni di Venezia Valeria Zancan sono stati due indagati che, nel frattempo, sono diventati maggiorenni. Si tratta del presunto capo della Qbr, Ion Buzila, nato in Moldavia nel 2002 e residente a Verona, e del coetaneo Eddine Issam Tizaoui, che i media parassiti definiscono “italiano di seconda generazione” nato a Verona nel 2002 e lì residente. Davanti al magistrato, bocche cucite da parte di entrambi: i loro legali hanno chiesto i domiciliari, istanza subito rigettata. Oggi sarà la volta dei maggiorenni (oltre ai già citati Buzila e Tiazoui, sono Aymen Rebbass, nato a Negrar nel 2001; Oualid Gliba, Bussolengo 2002; Ramon Yeilin Castillo, Repubblica Domenicana 2001; Fathi Toumi, Tunisia 1993, il più «vecchio» del gruppo) che verranno sentiti in carcere a Montorio, mentre per i minorenni l’appuntamento davanti al gip è per la settimana prossima.

Questi sono i loro ‘nuovi italiani’. Quelli che Letta vuole trasformare in ‘italiani’. E che lo diventano a 18 anni anche con l’attuale legge.

Urgente abrogare i ricongiungimenti familiari e tornare allo ius sanguinis integrale.




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