Ucraini rifiutano il cibo italiano, Caritas e Centro sociale litigano per il business

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Queste associazioni sono come cellule cancerose nell’organismo della Patria. La loro presenza indebolisce l’organismo e favorisce l’insorgere della malattia: gli invasori che loro definiscono profughi. Tendenzialmente siamo in presenza di affetti da altruismo patologico. Oltre ad affaristi e sostenitori del lato b.

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occe che non funzionano, problemi idraulici e scarsa trasparenza sul rendiconto delle spese”, sono solo alcuni dei problemi segnalati nella struttura d’accoglienza Casa Malala dal Coordinamento Trieste Emergenza Ucraina, un gruppo di cittadini, triestini e di origine straniera, sorto spontaneamente dopo l’esplosione del conflitto russo – ucraino. Nato per aiutare i profughi, in collaborazione con le strutture di Fernetti e via dell’Istria, la coordinatrice e co fondatrice di Teu Asya Gefter denuncia che “in alcune stanze non funziona la doccia, in altre non c’è l’acqua calda, in altre ancora ci sono delle perdite. Non è possibile che le famiglie rimangano senza i servizi di base per l’igiene personale”.

Fino a un mese fa, spiega il Coordinamento, “le condizioni erano critiche. Donne e bambini avevano sviluppato allergie, asma e problemi di stomaco, alcuni bimbi ancora ne soffrono. C’era un problema con le muffe e ci sono voluti due mesi per iniziare le riparazioni. Inoltre, nonostante i recenti miglioramenti, la qualità del cibo è ancora per lo più inadeguata per le necessità dei bambini. Il collo di bottiglia è dovuto al fatto che Casa Malala è di proprietà di un soggetto, la Prefettura, che non corrisponde a quello che la gestisce, ovvero la Caritas. Da due mesi noi volontari segnaliamo questi problemi e ci è sempre stato risposto che i problemi idraulici non possono essere risolti, perché l’edificio è della Prefettura. C’è bisogno di maggior cooperazione tra le due realtà, per velocizzare i lavori”.

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Da qualche settimana la Caritas ha investito risorse proprie per risolvere le criticità e ora la situazione è migliorata, ma Trieste Emergenza Ucraina segnala anche “problemi di trasparenza ed efficienza: sono mesi che chiediamo alla Caritas Trieste di fornirci dettagli su come vengono spesi i 133mila euro raccolti ‘pro Ucraina’, ma non abbiamo mai avuto una risposta. Noi, con la nostra personale campagna di crowdfunding, abbiamo raccolto più di 3mila euro per i bisogni di prima necessità non coperti dalla Caritas, e rendicontiamo tutte le spese. Non vogliamo accusare nessuno, solo risolvere una questione che si protrae da tempo coprendo le ‘crepe’ dei servizi d’accoglienza”.

Gefter ha anche segnalato una “disparità di trattamento tra i profughi Ucraini e gli altri profughi. Finché Casa Malala ospitava soltanto giovani uomini, nulla era stato fatto per risolvere queste criticità e ora che sono arrivati i profughi ucraini, tra cui molte donne e bambini, si è iniziato a mettere mano ai problemi”. Riguardo alla presunta mancanza di trasparenza, il Direttore della Caritas Diocesana di Trieste Don Alessandro Amodeo, replica spiegando che “i fondi sono destinati a un’associazione che noi abbiamo in Moldavia e che si occupa di accoglienza agli ucraini. Per i beni donati, invece, abbiamo allestito un punto di distribuzione esclusivamente per gli ucraini in città, utilizzando un sistema di accesso con tessera e verifica attraverso il nostro centro d’ascolto. Per gli ospiti ucraini organizziamo gite e uscite periodicamente, sono gentilissimi e ci ringraziano ogni giorno”.

Per quanto riguarda i problemi pregressi segnalati da Trieste Emergenza Ucraina, Don Amodeo spiega che “la questione delle muffe è stata risolta, abbiamo effettuato lavori di pulizia e di manutenzione per più di 40mila euro, tutti a nostre spese e non avremmo potuto farli perché la casa è demaniale, quindi della Prefettura. Per quanto riguarda i problemi con i pasti è stata fatta una riunione con gli ospiti, che ci hanno indicato il cibo migliore per loro, sempre nella forma del dialogo costruttivo, e siamo intervenuti di conseguenza”.