Open Arms, Medico inguaia Patronaggio: “Nessuna emergenza sanitaria impose sbarco”

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Un Paese civile indagherebbe Patronaggio, che impose lo sbarco poco prima dell’arrivo di una nave militare spagnola che avrebbe preso a bordo il carico di clandestini.

“I migranti erano tutti ammassati sulla nave, erano sotto un tendone e c’erano solo due bagni chimici. Alcuni erano affetti da infezioni e da scabbia“, sostiene la dottoressa Di Natale, salita a bordo quel giorno al seguito del procuratore di Agrigento di allora, Luigi Patronaggio che ha poi indagato Salvini.

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“Inizialmente ci siamo confrontati con l’equipe di bordo, abbiamo fatto un breve giro sulla nave“, dice.

E alla domanda della pm Giorgia Righi su quali fossero le patologie riscontrate, la dottoressa replica: “Quello che abbiamo potuto valutare noi erano segni di parassitosi e infezioni della cute, per il resto non abbiamo potuto valutare, c’erano anche dei segni di scabbia“. Quindi nulla di grave da giustificare l’obbligo di sbarco in Italia per la quasi totalità degli immigrati.

“C’era anche una donna con delle ustioni pregresse e dei migranti con delle ferite, un signore aveva un ginocchio molto infiammato e ci è stato riferito dal medico di bordo che fosse stata provocata da un’arma da sparo“, aggiunge il medico. Insomma nessuno era in pericolo di vita. E la nave dell’Ong Open Arms, che aveva rifiutato il Pos, il Port of Safe da Malta, poteva tranquillamente dirigere verso la Spagna, paese di cui l’imbarcazione batteva bandiera, e che aveva offerto l’atterraggio in un Port of Safe.

Poco dopo nell’aula bunker dell’Ucciardone è toccato a Fabrizio Mancini, direttore del Servizio immigrazione del Ministero dell’Interno, chiarire come sono andate le cose.

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Fino al 12 febbraio del 2019 era il Dipartimento per le Libertà civili del Viminale a decidere quale porto assegnare alle imbarcazioni con a bordo gli immigrati. “Ma – ricostruisce Mancini in aula – dal 12 febbraio, in seguito, a un incontro, la richiesta del Pos (Place of safety ndr) veniva veicolata direttamente al Gabinetto del ministro dell’Interno”.

Nell’agosto del 2019, quando si verificò il caso Open Arms, con 147 clandestini a bordo per quasi due settimane, “chi decideva l’assegnazione del Pos, i tempi e i luoghi?”, chiede il pm Geri Ferrara.

“Noi come direzione centrale immigrazione, o il mio direttore centrale, ma l’indicazione arrivava dal gabinetto del ministro – dice Mancini. – Quando sono arrivato, cioè la settimana prima, la procedura era quella. La procedura cambiò il 12 febbraio del 2019. Le procedure operative standard del 2015 che erano state messe in piedi per fronteggiare l’afflusso di immigrati che in quegli anni era stato considerevole, erano state determinate dalla necessità di dovere determinare il luogo di sbarco in relazione alla capacità di accoglienza dei migranti, una volta sbarcati – spiega il dirigente del Viminale. – Anche nel febbraio 2019 la richiesta di Pos veniva veicolata dalla Sala operativa ma girata al Dipartimenti Immigrazione, che poi attribuiva il luogo di sbarco”.

“Ma dal 12 febbraio del 2019, a seguito di un tavolo tecnico che si tenne con Capitaneria di porto, con Gdf, Marina, Dipartimento libertà civili, i presenti decisero all’epoca che in relazione al fatto che il numero di sbarchi era notevolmente diminuito, di non veicolare più la richiesta direttamente al Dipartimento Libertà civili, ma la richiesta del Pos veniva veicolata direttamente al Gabinetto del ministro”.

“I numeri di sbarchi più bassi sono nel 2018, intorno ai 13 mila – dice ancora Mancini – nel 2019 il trend era lo stesso, se non anche qualcosa di meno. Invece nell’ultimo periodo dell’anno abbiamo avuto un cambiamento del trend degli sbarchi“.




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