Italiani costretti a pagare 620 euro mese per asilo nido privato perché quelli pubblici ci sono pieni di immigrati

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La massiccia presenza di immigrati, oltre ad essere esteticamente poco gradevole e socialmente pericolosa, ha anche effetti deprimenti sulla natalità degli italiani. Perché si prendono tutto lo stato sociale impedendo così alle coppie italiane di formarsi e fare figli.

Uno dei casi è quello degli asili comunali, ormai imbottiti di figli di immigrati. Perché si sa, se il sedicente imprenditore deve assumere Mohammed, allora dobbiamo portarci in casa anche mogli e figli coi famigerati ricongiungimenti familiari: prima legge da abrogare per salvare il futuro.

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Una delle principali cause è rappresentata dal fatto che ogni anno troppe famiglie rischiano di restare escluse dalle graduatorie degli asili nido comunali, mentre le strutture private hanno rette difficili da sostenere. Ma quanto pesa effettivamente questa voce sul portafoglio di una famiglia che vuole mandare il figlio in una struttura privata? Secondo l’inchiesta di Altroconsumo che ha coinvolto 350 nidi privati di 8 città italiane (Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma e Torino), per mandare un bambino in un nido privato oggi, si arriva fino a 620 euro al mese, ovvero oltre un quinto del reddito medio di una famiglia. Un prezzo salato, per un servizio così essenziale.

Inoltre, l’Istat ha fotografato le carenze dei servizi per la prima infanzia: i posti disponibili nei nidi sono ancora al di sotto dell’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Barcellona nel 2002, ovvero un posto per almeno il 33% dei bambini entro il 2010. È necessario quindi un cambio di rotta con un ampliamento dei nidi e costi delle rette maggiormente sostenibili.

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Per questa inchiesta Altroconsumo si è calata nei panni di una famiglia che, per motivi lavorativi, ha necessità di lasciare un bambino di 18 mesi al nido per il numero massimo di ore, analizzando quali possibilità offrono i nidi privati in queste città, in termini di ore (massime e minime) di frequenza giornaliera, mettendole a confronto con le tariffe praticate. Il dato che emerge complessivamente denota un elevato costo medio delle rette; l’importo, infatti, si aggira intorno ai 620 euro mensili (inclusi pasti, pannolini e spese di iscrizione) per il numero massimo di ore frequentabili in media, cioè 10. Nel caso in cui il bambino frequentasse il nido “part-time”, cioè in media 5 ore, la retta mensile è in media di 480 euro che, rapportati al numero inferiore di ore, corrispondono a 4,84 euro l’ora contro i meno cari 3,13 di chi resta al nido per il tempo massimo.

Dall’analisi territoriale emerge che Milano è la città più cara: una famiglia del posto, infatti per la fascia di frequenza più ampia spende 3,84 euro all’ora, ovvero il 22% in più rispetto alla media delle altre città incluse nell’inchiesta. Bologna segue a ruota (21% in più). Nel Sud del Paese troviamo nidi meno cari: a Palermo si spendono 2,09 euro all’ora per una frequenza di 10 ore e 2,75 euro all’ora per 5 ore; a Napoli rispettivamente 2,28 e 3,20 euro all’ora. Si evince pertanto che la retta del nido, nel caso di una struttura privata, pesi sul bilancio per oltre 1/5 del reddito medio annuo di un nucleo familiare (quasi il 22%), considerando il reddito netto medio annuo di una famiglia (Istat) pari a 31.641 euro e 11 mesi di frequenza.

Altroconsumo ha, inoltre, indagato sulle aperture e chiusure durante i mesi estivi, tema di particolare interesse per i genitori che lavorano anche in questo periodo. È stato, quindi, verificato quanto esteso sia il periodo di chiusura dei vari nidi e se siano previste attività alternative o centri estivi. Dall’inchiesta emerge che luglio è coperto dalla quasi totalità delle strutture (94%). Ad agosto invece sono ben 7 nidi su 10 quelli che chiudono. Tra le città esaminate risulta che Firenze ha il maggior numero di nidi chiusi sia in luglio (20%), sia in agosto (95%). Bologna invece è la città con più strutture aperte sempre o per qualche settimana durante il mese di agosto (50% dei nidi per tutto il mese o in parte), seguita da Milano e Napoli (45% delle strutture aperte).

“I dati emersi a livello nazionale definiscono una situazione ancora lontana dal raggiungimento di un obiettivo volto a conciliare vita familiare e lavorativa per i genitori: l’evidente mancanza di posti nei nidi comunali e il costo elevato delle rette nei privati fanno sì che, specialmente le mamme, si trovino costrette a interrompere il proprio percorso professionale. Noi di Altroconsumo, da sempre al fianco dei cittadini, anche i più piccoli, al fine di garantire una maggiore tutela e supporto, ci auguriamo che l’impegno importante previsto nel Pnrr e inserito nel Ddl bilancio consenta ai Comuni entro il 2027 di garantire 33 posti negli asili nido ogni 100 bambini residenti tra i 3 e i 36 mesi, con costi delle rette più sostenibili. Questo con l’obiettivo di promuovere la genitorialità condivisa e anche, data la specifica situazione del nostro Paese, in cui una larga parte del lavoro di cura non retribuito pesa ancora sulle donne, per favorire maggiormente l’inserimento di queste ultime nel mondo del lavoro, facilitando la prospettiva di rientro dopo una gravidanza” commenta Federico Cavallo, Responsabile Relazioni Esterne Altroconsumo.