Acca Larentia: quando i buoni di sinistra uccisero tre ragazzi italiani

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Roma, 7 gennaio 1978. Alle ore 18.20, la sezione del Movimento Sociale Italiano, in Via Acca Larentia, subisce un agguato da parte di un nucleo di estrazione politica comunista. Cadono assassinati, proprio davanti alla sezione Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, due giovani attivisti del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del partito.

Nelle ore seguenti i militanti missini organizzano un presidio di protesta sul luogo della tragedia. Scoppiano tafferugli e scontri tra i militanti e le forze dell’ordine: l’elemento scatenante sembra essere un mozzicone di sigaretta gettato sul sangue rappreso delle vittime, forse da un giornalista. Il Capitano dei Carabinieri presente in quell’occasione, sparando ad altezza d’uomo, uccide un altro ragazzo, Stefano Recchioni.

I colpevoli dell’agguato sono rimasti ignoti e liberi. Il capitano dei carabinieri non ha subìto nessuna conseguenza.

Quegli anni non devono tornare. Fratelli non devono più uccidere fratelli.

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Saluti romani alla commemorazione delle vittime di Acca Larentia. Militanti di destra si sono schierati per il tradizionale rito del “presente” e del saluto ai “camerati caduti. Alcune centinaia di persone si sono riunite nel pomeriggio in via Acca Larenzia a Roma per prendere parte al 42mo anniversario della strage, il duplice omicidio a sfondo politico commesso a Roma il 7 gennaio 1978 davanti a una sede Msi in cui furono uccisi i due attivisti del Fronte della Gioventù Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, a cui seguì la morte di Stefano Recchioni, militante ucciso nel corso dei disordini con le forze dell’ordine seguiti a una manifestazione di protesta.

“Ci sono morti di serie A e di serie B. Questi sono morti di serie Z, questi non li pensa nessuno ma la verità è che se non c’è giustizia non c’è pace, quindi non ci si può meravigliare se dopo tanti anni ancora ci sono cortei, manifestazioni. Perché su questa storia non c’è verità”. E’ quanto denuncia Francesca Mambro nell’anniversario della strage di Acca Larenzia, il duplice omicidio a sfondo politico commesso a Roma il 7 gennaio 1978 davanti a una sede Msi in cui furono uccisi i due attivisti del Fronte della Gioventù Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, a cui seguì la morte di Stefano Recchioni, militante ucciso nel corso dei disordini con le forze dell’ordine seguiti a una manifestazione di protesta.

“Recchioni era accanto a me, morì tra le mie braccia. Prima venne colpito da un lacrimogeno, quando si rialzò fu ucciso da un proiettile al volto. Agli slogan gridati alla manifestazione risposero con i proiettili. I ragazzi di destra che erano lì – dice all’Adnkronos l’ex esponente dei Nar – non spararono né tirarono sassi. Invece che cercare chi aveva ammazzato quei poveretti, lo Stato stava lì alla manifestazione. Non hanno saputo gestire la situazione e c’è stata la tragedia di Stefano, colpito non da un provocatore come dice qualcuno (il riferimento è all’ex capitano dei carabinieri Eduardo Sivori, coinvolto nelle indagini e poi prosciolto, che ieri ne ha parlato con l’Adnkronos, ndr) ma da qualcuno che doveva controllare la piazza e ha sparato”.

Quarantadue anni dopo si può ancora trovare la verità? “Gli elementi per riaprire le indagini c’erano tutti, non so perché non abbiano perseguito la strada dell’arma utilizzata per Acca Larenzia, la mitraglietta che ha sparato anche in altre occasioni. Potevano benissimo cercare un filo conduttore. Il problema è che non hanno mai chiesto chi poteva aver sparato perché non era ritenuto interessante, non premeva che si sapesse. Quanti morti di destra ci sono stati senza che siano stati individuati i colpevoli? Solo a Roma la strage di Acca Larenzia, Francesco Cecchin, Angelo Mancia e altri. Le indagini sui morti di destra sono state aperte e richiuse senza che si arrivasse a nulla. Evidentemente ‘uccidere un fascista non è reato’ ma non è neanche perseguibile”.

E ancora: “Se ci deve essere una memoria in questo Paese – osserva Francesca Mambro – non è che si possono scartare dei morti. Quello che è successo dopo, i cosiddetti anni di piombo, a destra nascono dal fatto che non c’è stata mai la volontà di dare una risposta di giustizia a questi morti. Senza voler trovare delle scuse o delle attenuanti, quelle sono cose che hanno segnato tantissimo, almeno per quanto riguarda la mia scelta drammatica”.