Nel mondo senza radici che la Ue vuole instaurare, non esiste una cultura da difendere rispetto ad una che invade. Tutto è sullo stesso piano. Anche per questo dobbiamo mandare a farsi fottere la Ue.
«L’Unione europea ha deciso di vietare il velo islamico in azienda, simbolo di sottomissione e portato come vessillo dagli Stati che non firmano la convenzione sui diritti umani. Come contraltare però cosa ha deciso l’Ue? Di vietare anche il crocifisso al collo, come se fosse la stessa cosa. Sono matti!». Eloquente il tweet della senatrice di Fratelli d’Italia, Daniela Santanchè che riassume (ed al tempo stesso commenta) quanto decretato dalla Corte di giustizia dell’Ue con una sentenza finita nella bufera. Con le associazioni in difesa delle donne musulmane, in testa a tutti, sul piede di guerra. Non ci stanno: «Decisione islamofoba». E noi cristiani? La prima a farsi sentire e irrompere nel dibattito è appunto Daniela Santanchè, una donna e una esponente politica da sempre particolarmente sensibile sull’argomento. VERIFICA LA NOTIZIA
Santanchè, il tweet sulla sentenza Ue che vieta crocifisso e velo islamico in azienda
La prima, a sottolineare la non congruità di equiparare crocifisso e velo islamico «come se fossero la stessa cosa». E a scagliarsi contro un erroneo principio di omogeneizzazione che la sentenza legittimerebbe motivando con la sentenza l’esigenza di «presentarsi in modo neutrale nei confronti dei clienti o di prevenire conflitti sociali». Già, perché i giudici di Lussemburgo non ne fanno una questione particolare: al contrario, mescolano in un unico calderone giuridico. Sociale. Culturale e religioso, per stabilire il principio generale che mira a riconoscere la liceità del divieto di indossare in ufficio «qualsiasi forma visibile di espressione delle convinzioni politiche, filosofiche o religiose».
Dunque, stando al verdetto Ue: che si tratti di velo islamico, crocifisso, simbolo del partito per cui si vota, è sempre la stessa cosa. E, messi sullo stesso piano, c’è la possibilità che il datore di lavoro possa impedire di indossare il velo. Portare al collo una collanina col crocifisso. Una spilla con il logo di un partito. E via discorrendo…Un provvedimento che applica improvvidamente il principio del «o tutti, o nessuno» che strizza all’occhio a una politica di neutralità declinata all’impresa – oltre che di omogeneizzazione dei costumi sociali e religiosi – che nel cercare di salvare il dogma del politicamente corretto e far sì che non creino, in sostanza, discriminazioni di sorta, in realtà discrimina proprio mettendo sullo stesso piano il velo islamico e il crocifisso. E stabilendo che lo stop «deve limitarsi allo stretto necessario», ma deve scattare per tutti i “simboli” altrimenti si creerebbe una discriminazione di fatto.
E così, nella loro decisione, i giudici hanno stabilito che, stando ai precedenti, «non costituisce una discriminazione diretta» il divieto di simboli ove questo «riguardi indifferentemente qualsiasi manifestazione di tali convinzioni» religiose o filosofiche. E laddove «tratti in maniera identica tutti i dipendenti dell’impresa. Imponendo loro, in maniera generale ed indiscriminata, una neutralità di abbigliamento che osta al fatto di indossare tali segni».
Forse che non lo tollerano xché loro sono il male?Penso sia così…
Na bomba ci vuole.