Il reporter Bernieri invia a Vox la sua ultima inervista a Franco Battiato.
Tra una meditazione e l’altra, il maestro , il derviscio, il gesuita euclideo mi concedeva un breve colloquio davanti ai quadri che stava dipingendo… Io appoggiai il mio registratore sul tavolo del suo studio. I suoi ultimi concerti avevano richiamalo migliaia di giovani.
Normale trattandosi di un divo della musica pop. Singolare, però: i testi delle sue ultime canzoni erano in latino. Di più: i «parolieri» erano i padri della Chiesa del Concilio di Nicea, del 325 dopo Cristo. Il luogo dei concerti: chiostri di conventi e chiese.
L'AUDIO ESCLUSIVO DI UN'ORA CON LA VOCE DI BATTIATO NEL SUO STUDIO
L'ultima sua fatica, folgorato dall’opera e dalla musica colta, era stata una messa: la “Messa arcaica con orchestra”, soprano, cori e slanci mistici.
Mi aveva aperto le porle del suo buen ritiro sulle falde dell'Etna. «Non ho una parrocchia. Sono religioso e basta. Rispetto tutte le religioni: ma se qualcuna di queste è violenta, capisco allora che ce qualcosa che non va. Ad esempio preferisco l'IsIam dei mistici Sufi all'integralismo» mi disse
«Ho cominciato a interessarmi al misticismo negli anni Settanta: diventai un viaggiatore, alla ricerca di altre culture religiose. Mi stava stretta la società in cui vivevo, con quei valori piccoli come il buon posto nella società, l'affermazione sociale, e stop».
«Ho fatto un genere di cammino che penso sia un classico: ho cominciato a leggere testi di filosofia indiana, poi sono approdato al misticismo occidentale, finche scopersi il Sufismo, che è la corrente mistica all'interno dell'Islam».
Battiato parlava sprofondato in un divano dell'800, nel salotto buono di casa, proprio sotto un quadro settecentesco raffigurante S. Domenico. Alle pareti si alternavano antichi tappeti persiani di preghiera e icone sacre. Qua e là facevano spicco quadretti di donne velate, di mistici Sufi in preghiera, di Dervisci danzanti, di sacerdoti ortodossi.
Erano immagini dipinte dallo stesso Battiato, anzi, da Suphan Barzani, lo pseudonimo scelto dal cantautore. Barami? «È un cognome curdo», mi spiegò. «Ho iniziato a dipingere alcuni anni fa: cercavo di capire il perché di un handicap naturale che mi pesava. Sentivo di essere negato alla pittura. Mi ci sono buttato dentro con furore, e alla fine ho capilo che non era incapacità, la mia, ma il fruito di un blocco psicologico. Lo stesso blocco provato da quelle persone stonate a cui piace la musica, ma che non riescono a cantare ciò che cantano già nella testa. È per superare questo blocco che sono diventalo un pittore».
La grande casa rosa, di fattezze liberty, acquistata da Battiate nel 1987 dai baroni Moncada di Catania, nascondeva un eremo francescano. Oltre la veranda della villa, trasformata dal cantautore in atelier per dipingere le sue icone, s’intravedeva un villaggio di case contadine, costruite in pietra lavica, proprio accanto a una grande piscina hollywoodiana. Tra le case, accanto a una edicola raffigurante San Francesco, dipinta da Battiato, spiccava una cappelletti zeppa di icone russe e di arazzi religiosi.
La piccola chiesa, in origine un pollaio, era stata aperta al culto dalla Chiesa cattolica catanese: e qui Battiato e sua madre, signora Grazia, assistevano ai riti della notte di Natale, durante la Pasqua e in altre speciali occasioni. Ma Battiato era un cattolico mollo particolare.
Lo ascoltai a lungo: «Credo nella reincarnazione. Ma anche Origene, uno dei padri della Chiesa, scrisse a favore della reincarnazione: solo che il suo insegnamento venne occultalo dalla Chiesa ufficiale».
Questo non ti ha impedito di cantare recentemente davanti al Papa, gli chiesi.
“Sì,quando cantai davanti a Wojtyla la commozione mi bloccò. Un nodo alla gola mi impedì un attimo di proseguire il concerto».
Eh beh, eri un ammiratore del mondo islamico…
E l’Islam è l’unica “religione” violenta. Non mi risulta ne esistano altre.
Infatti. Poi vabbè, magari poteva salvarsi in corner dicendo che gli interessava il sufismo, ma…