“Cina lavorava a virus razziale contro l’Occidente dal 2015”

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Già nel 2015 gli scienziati militari cinesi pensavano di sviluppare uno studio sui coronavirus, intravvedendo in quei pericolosi microorganismi il potenziale strumento di una futura guerra biologica. Cinque anni prima che esplodesse la pandemia globale di Covid-19, scienziati cinesi con le mostrine ragionavano sull’ idea che un coronavirus simile a quello che provoca la Severe acute respiratory syndrome, cioè la Sars, ovvero la Sindrome respiratoria acuta grave, potesse essere la base per una «terza guerra mondiale».

È quanto emerge da documenti resi noti pochi giorni fa dal quotidiano The Australian di Sidney, il più diffuso d’ Australia: cinque anni fa un’ equipe di ufficiali dell’ esercito popolare di liberazione cinese avrebbe descritto i coronavirus della Sars come «base» da ingegnerizzare in laboratorio «per una nuova era di armi genetiche» e ne avrebbero magnificato le caratteristiche di contagiosità e rapidità di diffusione, utili a causare «il collasso del sistema medico del nemico».

Le rivelazioni di The Australian si basano su un documento di 263 pagine, datato 2015 e intitolato The unnatural origin of Sars and new species of man-made viruses as genetic bioweapons (cioè «Le origini artificiali della Sars e nuove specie di virus prodotti dall’ uomo come armi biogenetiche») che già fa capire quanto Pechino cinque anni fa fosse avanti nelle mutazioni di virus con possibili implicazioni belliche.

Il testo condensa il lavoro di un gruppo di (18) scienziati dell’ esercito cinese guidati dal generale Dezhong Xu, già capo degli esperti sull’ analisi pandemica della Sars presso il ministero cinese della Salute, e ipotizza di trasformare in arma un coronavirus di ceppo Sars allo scopo di generare (tramite armi genetiche) una pandemia che faccia collassare i sistemi sanitari del «nemico».

È l’ ipotesi di un’«arma biologica illimitata», alla quale l’ esercito cinese in realtà avrebbe segretamente lavorato per anni, e lo studio del 2015 suggerisce che il coronavirus del futuro «debba essere congegnato in modo da poter essere scambiato per un patogeno del tutto naturale». Questo accorgimento, si legge nel testo, avrebbe lo scopo di contraddire con efficacia «l’ accusa di aver ingegnerizzato geneticamente un’ arma biologica, in modo da neutralizzare tutte le ricerche delle organizzazioni sanitarie internazionali e ogni altro tipo d’ inchiesta».

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Cinque anni fa, il testo sottolineava che l’ utilizzo del nuovo coronavirus non avrebbe dovuto essere ristretto a «conflitti di tipo militare», ma sarebbe stato meglio impiegarlo proprio in campo «non bellico», dove avrebbe «causato diffuso terrore» e avrebbe consentito alla Cina e al regime di Xi Jinping di «ottenere vantaggi politici e strategici in aree regionali, se non a livello globale».

Global Times, il quotidiano in lingua inglese del Partito comunista cinese, ha attaccato con forza The Australian e poi ogni altro quotidiano occidentale che abbia ripreso l’ articolo, sostenendo si tratti di «propaganda». Non è difficile prevedere che anche questa notizia in Italia sarà silenziata dai mass media, esattamente com’ è accaduto a ogni tipo d’ informazione che dall’ inizio della pandemia abbia tentato di fare luce sulle reali origini del Covid.

Certo, impressiona la perfetta assonanza tra le valutazioni scritte nel 2015 dall’ equipe del generale Dezhong Xu e quanto poi è effettivamente accaduto a partire dai primi mesi del 2020: con l’ economia occidentale messa in ginocchio dalla pandemia, mentre la Cina ha continuato a crescere ed è riuscita a espandere la sua influenza globale grazie al Covid e alla «diplomazia della mascherina».

Se davvero si trattasse solo di coincidenze, il povero generale meriterebbe non tanto la stella rossa come eroe del popolo, ma – scegliete voi – un premio alla sfortuna o alle sue capacità divinatorie.

Del resto, proprio alla fine del 2015 cominciarono a circolare per il mondo i primi allarmi su quanto stava accadendo in certi laboratori cinesi. Torna in mente l’ articolo pubblicato il 9 novembre 2015 dalla rivista Nature, che metteva in guardia sui rischi di «una ricerca dell’ Istituto di virologia di Wuhan», che inseguiva «pericolosi esperimenti» sui coronavirus dei pipistrelli.

Quanto all’ Italia, forse più modestamente rispetto a Nature, ma certo con la stessa puntualità, il 16 novembre 2015 andò in onda una puntata di Leonardo, trasmissione di approfondimento scientifico di Rai 3, che denunciava come un gruppo di ricercatori cinesi stesse «innestando geneticamente una proteina ricavata da pipistrelli nel virus della Sars», e il rischio che da quell’ esperimento potesse uscire «un supervirus in grado di colpire l’ uomo».




6 pensieri su ““Cina lavorava a virus razziale contro l’Occidente dal 2015””

  1. Mi ricorda tanto il progetto “Biopreparat”avviato dai russi negli anni ’70…..Tutto segreto fino a quando il mondo si accorse dell’incidente di Sverdlovsk del ’79 causa una fuga di antrace dai laboratori….C’erano qualcosa come 30.000 scienziati che parteciparono a questo progetto.Dov’erano andati a finire dopo il crollo dell’Urss?

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