La Marina militare italiana guarda mentre Erdogan ci spara addosso pallottole e clandestini

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Oggi, in poche ore, 1.200 clandestini sono sbarcati in Italia. Partiti dal Nordafrica. Partono dalle zone libiche controllate dalle milizie turche dei veterani della guerra in Siria: terroristi islamici. E chissà quanti terroristi ci sono sui barconi.

L’input sono state le parole di Draghi: ‘Erdogan dittatore’. Da quel giorno non si sono fermati gli sbarchi. Devi stare zitto quando non sei in grado di inviare una cazzo di nave militare a fare un blocco delle coste libiche.

C’è Erdogan dietro la recente impennata di sbarchi dalla Libia. Stizzito dalle intempestive parole di Draghi sul ‘dittatore’. E non è neanche escluso che dietro le stesse ong che in questi giorni affollano le coste libiche ci sia lo stesso mondo islamico. C’è il jihad turco a spingere i barconi verso l’Italia. Ce li manda dalla Turchia, i famosi velieri, e anche dalla Libia dove ancora agiscono i reduci della guerra siriana. Veri e propri tagliagole islamici.

Da quando il presidente del consiglio Mario Draghi lo scorso 6 aprile è volato in Libia assieme al ministro Luigi Di Maio le partenze dei barconi si sono impennate. Stesso dicasi per la visita di Lamorgese, il 20 aprile.

Sono ormai più dodicimila i CLANDESTINI giunti in Italia dalle coste del Nordafrica.

Nel 2019, con Salvini al Viminale ne erano sbarcati meno di mille nello stesso periodo. Sono numeri da invasione. E’ una INVASIONE.

Il 23 aprile è stato registrato un naufragio con 120 vittime, causato dal mancato appuntamento con l’ong francese dei veleni. Era il segnalE atteso da Letta per imporre il ritorno delle navi militari italiane come nursery dell’invasione: da quel giorno abbiamo avuto quasi QUATTROMILA sbarchi.

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I numeri del Viminale sono preoccupanti. Ma da soli non bastano a dare un’idea esatta dell’incremento del flusso migratorio lungo la rotta libica. Dall’altra parte del Mediterraneo infatti le partenze verso il nostro Paese sono in costante aumento. Ai barconi arrivati in Italia, occorre conteggiare anche quelli fermati in acque libiche. Il 4 febbraio infatti l’Unhcr ha riferito di almeno 700 migranti fatti tornare indietro verso le coste libiche dalle autorità di Tripoli. Il 29 marzo invece è stata l’Oim a segnalare il rientro in Libia di circa 1.000 migranti raggiunti dalle motovedette della locale Guardia Costiera. Altri interventi del genere sono stati riportati nel mese di aprile. Segno quindi di come la pressione migratoria stia diventando sempre più preoccupante.

ASSALTO ALL’ITALIA: MARINA LIBICA RIPORTA INDIETRO 600 CLANDESTINI IN 48 ORE

Circostanza confermata anche dall’ammiraglio Fabio Agostini, comandante dell’operazione Irini, la missione dell’Unione Europea lanciata nel 2020 per il monitoraggio del rispetto dell’embargo di armi in Libia. Nel corso del webinar The European Common Security and Defence Policy in Libya, organizzato dalla Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (Sioi), l’ammiraglio Agostini ha parlato di numeri inequivocabili: “Nel corso del 2020 – si legge nelle sue dichiarazioni – le partenze dei migranti dalla Libia via mare hanno visto un aumento del 25 per cento circa anno su anno, un andamento simile ai primi tre mesi del 2021”.

Sul perché la rotta libica sia tornata ad essere quella più preoccupante sono state avanzate più ipotesi. A IlGiornale.it, il 20 aprile, il docente Vittorio Emanuele Parsi ha parlato di dinamiche interne al Paese nordafricano: “C’è un nuovo governo in Libia – ha dichiarato – ancora non in grado di controllare il territorio”. In ambienti diplomatici si sta iniziando a parlare anche di dinamiche esterne. Gli occhi sono puntati sulla Turchia. Ankara dal novembre 2019 è la principale alleata militare di Tripoli. In Libia, per aiutare l’allora governo di Al Sarraj a sconfiggere le forze del generale Haftar, ha riversato mezzi, soldi e mercenari: “La Turchia ha una forte presa su molte milizie libiche – ha sottolineato una fonte diplomatica a IlGiornale.it – anche su quelle che gestiscono il traffico migratorio”.

Tra Roma e Ankara in questo momento non corre buon sangue. Mario Draghi ha definito nei giorni scorsi il presidente Erdogan un “dittatore”, quest’ultimo ha risposto dando del maleducato al nostro presidente del consiglio. Screzi che sottintendono profonde divergenze su molti dossier: “Erdogan sa bene che l’immigrazione può mettere in difficoltà il governo italiano – ha proseguito la fonte diplomatica – da Ankara potrebbero aver dato un certo impulso alle partenze di barconi dalla Libia. Molti segnali raccolti vanno in questa direzione”. Del resto non sarebbe la prima volta: “Già in passato l’arma migratoria dalla Turchia è stata usata come ricatto verso l’Europa”, ha concluso la fonte diplomatica. Per l’Italia appare quindi ancora più importante continuare con il dialogo con il nuovo governo di Tripoli.

In totale i libici hanno bloccato quasi altri diecimila clandestini sui barconi o in procinto di imbarcarsi. Se avessimo un governo ci sarebbe un blocco navale davanti alla Libia. Invece abbiamo quello che abbiamo.

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Perché sì, è vero, c’è un disegno dietro gli sbarchi, ma c’è soprattutto la nostra incapacità di fare quello che deve essere fatto: respingerli. Con le buone, se possibile, con le cattive, se necessario. E, Dio, quanto vorremmo dovere usare le cattive.

E OLTRE GLI SBARCHI, ERDOGAN CI FA ANCHE SPARARE ADDOSSO. DALLE NOSTRE MOTOVEDETTE

“Conservo la maglietta, finirà in una cornice”. Il comandante del peschereccio Aliseo, Giuseppe Giacalone spiega all’AGI, con stanchezza e delusione, perché ha deciso di lasciare il proprio lavoro e perché indossa ancora la maglietta verde insanguinata che aveva il giorno in cui la marina libica ha aperto il fuoco sulla sua imbarcazione.

“Come pescatore sono morto”, dice riferendosi al mitragliamento libico che lo ha ferito, e la cui prova vuole mostrare a tutti: la maglietta insanguinata che indossava giovedì, quando i libici lo hanno colpito sparando sulla cabina di pilotaggio. “Ho litigato perfino con i miei figli, uno di loro era tra i 18 sequestrati per tre mesi e ora è di nuovo in mezzo al mare per pescare”, continua Giacalone.

“Finora – aggiunge – non c’è scappato il morto soltanto perché Gesù ci ha aiutato. Ecco perché all’arrivo a Mazara ho baciato la croce che porto al collo: le cose bisogna farle fin quando si è vivi, non è necessario poi venirci a cercare al cimitero”. “Non tornerò più in mare – dice – dopo aver lavorato onestamente, rischiando la vita. Non me la sento più”.

“Questo – continua Giacalone – è peggio di un atto di guerra: noi siamo pescatori, non siamo guerriglieri o terroristi. Mentre questi stavano cercando di sequestrarci gli abbiamo regalato un barattolo di Nutella: noi pescatori siamo così, ma loro hanno sparato per ucciderci“.

“Io – spiega – ero tranquillo quando ho capito che erano i libici di Tripoli; il nostro ministro Di Maio un giorno sì e l’altro pure va lì per fare accordi, fare autostrade e questi invece ci sparano, altro che.

di maio libia

L’anno scorso, quando sequestrarono mio figlio, dissero che era difficile trattare con l’esercito di Haftar, perché non avevamo rapporti. È successo che con Tripoli è andata alla stessa maniera: si stanno prendendo il nostro mare e noi stiamo zitti. E, onestamente, mi aspettavo un impegno più incisivo della Marina Militare, loro erano lì con una nave e l’elicottero, e i libici continuavano a spararci addosso”.

“Nessuno del governo nazionale mi ha chiamato, nessuno del governo ci ha accolti nel porto. Dov’è il ministro Di Maio? Mi aspettavo che fosse lì, che ci dicesse qualcosa”, è lo sfogo che Giacalone affida all’AGI. La testa è ancora fasciata da medicazione: “Dovrò rifarla, più tardi andrò in ospedale” e aggiunge con amarezza, per sottolineare l’accusa di essere stato abbandonato: “avete visto qualche ambulanza sulla banchina del porto?”.

Il miliziano addestrato a Messina
Tra i miliziani libici che hanno sparato contro il peschereccio Aliseo “ce n’era uno addestrato dall’Italia a Messina e parlava italiano” racconta ancora Giacalone. “Avevamo impiegato un’ora per recuperare le reti, quando verso le 10.15 ci ha chiamato la Marina Militare che ci invitava ad invertire la rotta verso nord, senza spiegarci cosa stava accadendo. ‘Fate rotta a nord’, ci dicevano e lo abbiamo fatto. Eravamo quasi a 50 miglia dalle coste libiche, verso le 13.15, e una motovedetta libica ci ha affiancato, ‘ferma, ferma’, ci urlavano e hanno cominciato a sparare con tre fucili”.

“Puntavano sull’uomo – ricorda Giacalone – volevano uccidere solo me, mi dicevano ‘ferma, ferma’, ma io andavo avanti e nel frattempo ho dato indicazione all’equipaggio di andare giù. I libici mi guardavano fisso negli occhi, e con le dita mi facevano segno che mi avrebbero tagliato la gola. Poi, quando mi hanno colpito, sono uscito dalla cabina, e mostrandogli la maglia (insanguinata, ndr) gli ho detto ‘basta!’, e lì il comandante della motovedetta libica ha capito, ha iniziato a dirmi ‘sorry, perdona’, per scusarsi; voleva darci assistenza e portarci all’ospedale di Khoms”.

La minaccia con le molotov
Il comandante decide di non fermarsi, in ragione dei precedenti sequestri ai pescherecci di Mazara, l’ultimo concluso a dicembre scorso. “Gli dicevo che non volevo fermarmi – continua Gicalone – e c’era la nave della Marina militare che poteva darci assistenza. Poi siamo stati costretti a fermarci e hanno prelevato me ed il nostromo, mentre tre militari libici sono saliti a bordo del peschereccio.

Uno di loro era stato addestrato a Messina e parlava italiano, cioè questo è stato addestrato dai nostri militari per far del male a noi e anche la motovedetta libica è quella della Guardia di Finanza che gli avevamo dato noi. Questo militare ci ha detto che se noi non ci fermavamo, ci avrebbero lanciato delle bottigliette piene di benzina, che ci ha fatto vedere, per utilizzarle come molotov”.




3 pensieri su “La Marina militare italiana guarda mentre Erdogan ci spara addosso pallottole e clandestini”

  1. 1000 leghisti muoiono ogni giorno per vaccini
    e 1000 cladestini arrivano ogni giorno
    l’equazione e’ presto fatta

    Non ho capito perche Zaia ci tiene tanto a sostituire i veneti con africani e cinesi.

    Ma questi non sanno neanche parlare italiano dopo 20 anni che vivono in Italia, figuriamoci appena arrivano.

    A cosa gli serviranno mai tutti sti africani, al posto dei leghisti?

    1. L’equazione sarà più completa quando un coglionazzo troll come te sparirà insieme ai 5merde. ASINO.

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