Google-YouTube censura Byoblu

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Ci risiamo: in Italia si verifica un nuovo caso di censura social a una testata giornalistica regolarmente registrata. Stavolta il caso riguarda la web tv Byoblu, fondata dall’ex consulente per la comunicazione del M5S Claudio Messora e limitata nei contenuti da Youtube. Nel mirino della piattaforma è finito un servizio sul vaccino Pfizer, che ne metteva in dubbio l’efficacia. Ma, al di là del merito, ciò che pesa è il tema dell’arbitrio con cui i colossi dei social possono decidere autonomamente di censurare questo o quello, tanto più se questo o quello sono testate giornalistiche. E, infatti, il caso Byoblu tiene alto il dibattito, entrando in tendenza su Twitter.

Sia l’impostazione editoriale di Messora, sia l’articolo in questione sono controversi. Messora, infatti, è accusato da molti di alimentare complottismi e talvolta vere e proprie fake news. Quanto al servizio incriminato sul vaccino Pfizer, faceva riferimento a un articolo apparso sul Medical British Journal e firmato dal professore di ricerca sui servizi sanitari farmaceutici dell’Università del Maryland, Peter Doshi, che ne ridimensiona l’efficacia a un range tra il 19% e il 29%, dunque ben lontano dal 95% dichiarato. La fonte appare autorevole, ma l’articolo non avrebbe i crismi di un vero studio scientifico. Dunque, per Youtube Byoblu stava facendo disinformazione su un tema altamente delicato e meritava la censura.

Il caso di Byoblu, però, impone di andare oltre la questione di merito dei contenuti, perché si inserisce nel preoccupante filone dello strapotere dei colossi social di fronte a diritti costituzionalmente garantiti. D’altra parte, appena pochi giorni fa, a finire nel mirino rispettivamente di Google e Twitter sono stati il Manifesto e Libero. “Lasciate perdere se vi piace o meno quello che dice Byoblu. Può Youtube calpestare la Costituzione e le leggi? Perché questa è la domanda. Se vuole lavorare in Italia, ne deve rispettare le leggi. Se non le rispetta, non umilia una persona, umilia una Stato“, ha commentato Guido Crosetto su Twitter, mentre il deputato della Lega Claudio Borghi ha annunciato una richiesta di spiegazioni all’Agcom.

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Nel dibattito non sono mancati quelli delle consuete argomentazioni: ha violato gli standard; i social sono soggetti privati e fanno quello che vogliono; se lo sono meritato. Ma sul tavolo resta l’enorme tema del diritto di questi “soggetti privati” a scavallare leggi e Costituzione. Messora ha ricordato che Byoblu è “una testata giornalistica regolarmente registrata in tribunale”; ha “le concessioni governative in regola” per trasmettere sul digitale; ha un direttore che “risponde all’Ordine dei giornalisti oltreché alla legge”; è tutelata “dalla Costituzione e vi sono organismi istituzionali (nazionali) deputati a vigilare su come viene esercitata la libertà di stampa nel nostro Paese”.

“Non accettiamo che nessuno – ha quindi avvertito il fondatore di Byoblu – al di fuori delle istituzioni italiane, attraverso gli organismi preposti, e all’infuori della magistratura che sono i soli organi che riconosciamo, possa sindacare su quanto viene detto dalla nostra redazione nel nostro telegiornale”. Si tratta di una questione che riguarda tutti, anche quelli di cui non condividiamo cosa dicono o scrivono.

Non che le ‘istituzioni’ ci rassicurino più di Google-Tube riguardo al rispetto della libertà di stampa. Né ci piace questo continuo rimando ai ‘giornalisti’: la libertà di espressione è diritto di tutti i cittadini, non solo dei giornalisti, figura oggi ormai obsoleta nel mondo dell’informazione orizzontale.




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