Oseghale, giudici parlano dei suoi complici nella sentenza: esperto nel fare a pezzi ragazzine

Vox
Condividi!

«La condotta post mortem di Innocent Oseghale è la chiave di lettura di quanto accaduto e la prova che ha ucciso Pamela Mastropietro. I suoi comportamenti erano legati alla volontà di coprire l’omicidio». I giudici della Corte di appello di Ancona lo dicono nelle 150 pagine di motivazioni della sentenza (uscite oggi pomeriggio) in cui hanno confermato la condanna all’ergastolo del nigeriano, accusato dell’omicidio della 18enne Romana, uccisa a Macerata, nell’appartamento di via Spalato dove Oseghale viveva, il 31 gennaio 2018.

Una sentenza (il processo si è chiuso il 16 ottobre scorso) che accoglie quanto già detto dai giudici della corte d’assise di Macerata, e che approfondisce molto le questioni della droga assunta da Pamela e del perché la ragazza non fosse morta per una overdose, come sostiene la difesa (Oseghale è assistito dagli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi). Anche le ferite mortali sono state ampiamente analizzate nella sentenza in base a quanto accertato dai medici legali nel corso delle indagini. C’è poi una considerazione dei giudici: «Alcuni dubbi restano nell’operato dell’imputato, il quale, dopo aver agito con una impressionante lucidità e raffinatezza nel momento dell’eliminazione delle tracce riconducibili alla violenza sessuale, sembra essere divenuto maldestro e goffo quanto abbandona le due valige sul ciglio della strada facendo uso di un taxi o quando non si disfà di tutti gli effetti personali di Pamela», per i giudici probabilmente Oseghale non si aspettava che i carabinieri arrivassero a lui così velocemente e, dicono, le operazioni di depistaggio e cancellazione delle prove erano ancora in corso da parte sua.

Però una domanda i giudici se la fanno su quei comportamenti: «forse qualcuno doveva andare a prendere le valigie?». Domanda che nel corso della sentenza si pongono anche in un altro punto. In un passaggio i giudici scrivono che le lesioni al fegato, quelle con cui Pamela è stata uccisa, sia secondo l’accusa che secondo i giudici, sono state inferte da Oseghale proprio con lo scopo di eliminare la ragazza che, costretta a subire una rapporto sessuale, avrebbe potuto denunciarlo. Oseghale «non ha mai compiuto una azione a caso – dicono i giudici – Quanto meno, almeno all’apparenza, fino a quando non ha lasciato le valige in strada. Condotta quest’ultima che comunque non è escluso che abbia avuto una sua finalità che l’imputato si è ben guardato dal rivelare (qualcuno, forse quel qualcuno con cui a lungo e concitatamente ha parlato nel tragitto sul taxi del camerunense Patrick Blaise Noutong Tchomchoue – mentre stava andando a gettare le valigie a Casette Verdini di Pollenza, in un fosso lungo via Dell’Industria, ndr -, che riferiva della per lui incomprensibile telefonata in inglese, avrebbe dovuto andare a prenderle? O lo avrebbe fatto lui stesso?)».

Altro aspetto che evidenzia la Corte d’assise d’appello di Ancona: «Straordinaria valenza probatoria sono le condotte post mortem di Oseghale, sono la chiave di lettura su quanto accaduto». Ci sono le versioni false, contraddittorie, i depistaggi, il negare il rapporto sessuale, l’ammettere di aver fatto a pezzi il corpo solo dopo che le prove scientifiche lo inchiodavano, dicono i giudici, e poi quell’operazione di depezzamento, svolta con perfetta conoscenza del corpo umano e il fatto che alcune parti del corpo non sono state trovate, quelle, dicono i giudici, dove c’erano state le ferite mortali. Mortali, spiegano, perché qualcosa di quei due fendenti al fegato è stato trovato. Tracce che mostrano sia segni di emorragia, sia formazione di globuli bianchi: a riprova che sono state inferte quando era in vita. Inoltre, aggiungono, non possono essere state causate per sbaglio durante l’operazione di depezzamento del corpo della 18enne.

Vox

«E’ evidente che l’imputato, dopo aver ucciso Pamela con due coltettale, ha mantenuto totale freddezza e assoluta lucidità come chiaramente dimostrano la precisione delle attività di depezzamento e disarticolazione del corpo di Pamela, svolte senza la benchè minima emozione. Ha dimostrato una non comune abilità settoria, una approfondita conoscenza del corpo umano, non si può dar credito all’imputato che abbia proceduto a queste operazioni al solo scopo di disfarsi del corpo della ragazza, a suo dire morta per overdose: avrebbe potuto raggiungere lo stesso risultato con una attività molto meno precisa» e sarebbe stato dunque «Superfluo il lavaggio del corpo con la varechina e l’esanguamento. Oseghale voleva far sparire le tracce di dna sul corpo e quelle delle due coltellate» dicono i giudici.

Ferite inferte non per sbaglio durante le macabre operazioni dopo la morte di Pamela, «Oseghale non ha certo agito a casaccio sul corpo» dicono i giudici». Sul fatto che avesse negato di aver avuto un rapporto sessuale con Pamela, «Negava perché sapeva che era stata una violenza sessuale» dicono i giudici e aggiungono che la 18enne non avrebbe mai acconsentito ad avere un rapporto». Secondo i giudici: «Oseghale ha condotto a casa sua Pamela al solo scopo di abusare di lei sessualmente, approfittando delle sue condizioni di minore lucidità dovuta all’assunzione di eroina».

Parti civili al processo i genitori e la nonna di Pamela, assistiti dallo zio della ragazza, l’avvocato Marco Valerio Verni, il Comune di Macerata e il proprietario della casa di via Spalato (tutelato dall’avvocato Andrea Marchiori).

Il Comune di Macerata, al tempo guidato dal Pd e da un sindaco che non ha mai ritrattato le politiche deliranti e criminali dell’accoglienza dei nigeriani come ‘richiedenti asilo’, aderendo al famigerato progetto Sprar, dovrebbe essere citato in giudizio come complice dell’omicidio, non certo avere il permesso di costituirsi parte civile.

E che dire di chi affitta casa ai nigeriani che spacciano, complice anche lui, altro che ‘parte civile’. Traditori che rendono la permanenza di queste bestie che diffondono morte in Italia possibile.




3 pensieri su “Oseghale, giudici parlano dei suoi complici nella sentenza: esperto nel fare a pezzi ragazzine”

  1. Associare il termine “raffinatezza” ad un essere spregevole come questo ci vuole un bel coraggio da parte del giudice. Quelli che arrivano qua sono spesso feroci assassini, scappati proprio perché hanno commesso delitti efferati.
    Tra un po’ di tempo credo che l’africa, come altri paesi del terzo mondo, saranno un posto migliore per essersi levati di torno tutta la feccia, che sarà distribuita equamente nei territori sviluppati. Ne conseguirà un fenomeno mai visto prima: il pessimo dna si propagherà figliando su tutto il globo che sarà ricoperto di spazzatura umana come un enorme, puzzolente, discarica. Forse è già così e non se ne sono accorti.

I commenti sono chiusi.