Dopo averci portato il virus i cinesi fuggono dall’Italia: aerei carichi verso Pechino

Vox
Condividi!

Ponti d’oro al nemico che fugge. A patto che non rientri più.

VERIFICA LA NOTIZIA

Da settimane le autorità cinesi comunicano che gli unici casi di coronavirus da loro sono «importati», gente che arriva dall’estero. Anche ieri ne sono stati scoperti 11. Il volo Milano-Nanchino era pieno: 320 passeggeri, il 90% dei posti a disposizione sul Boeing 787 Dreamliner, in base alle norme di sicurezza anti-contagio. Per viaggiare tra Europa e Cina ai tempi della pandemia bisogna adattarsi alla dilatazione di tempi e procedure: un viaggio che prima del coronavirus durava dieci ore, adesso ne può prendere ventiquattro, tra controlli e scali tortuosi, più tre tamponi obbligatori.

Dopo averci portato il virus in Italia, grazie ad un governo servo che in nome della strana amicizia tra il Partito Comunista cinese e il M5s non ha chiuso le frontiere quando doveva farlo, ora i cinesi scappano dall’Italia con l’economia in ginocchio: missione compiuta.

Quasi tutti cinesi: famiglie in fuga dall’Italia per paura della nuova ondata di coronavirus, spinte dalla crisi economica che non ha risparmiato i loro commerci, i loro bar e ristoranti nelle nostre città semichiuse. Spiccavano una trentina di passeggeri sigillati in scafandri bianchi da terapia intensiva, anche il cappuccio calato sulla testa, occhialoni o visiere protettive; parecchi a bordo erano muniti di doppia mascherina, una sull’altra, quella chirurgica sopra o sotto quella FFP2. Tute e cumulo di mascherine sono auto-prescrizioni tra l’inutile e il nocivo di gente spaventata che non trova sicurezza nemmeno nel tampone obbligatorio da effettuare entro le 72 ore precedenti alla partenza, debitamente vistato con un timbro rosso dalle autorità diplomatiche cinesi in Italia.

Partono giovani coppie con bambini: immigrati stabili che hanno ceduto al richiamo ansioso dei nonni rimasti in Cina, dove i numeri dell’epidemia sembrano sotto pieno controllo delle autorità.

Vox

Proprio ieri l’Ambasciata della Repubblica popolare cinese a Roma ha lanciato l’allarme alla sua comunità: 100 contagiati tra turisti e studenti nelle scorse settimane. «Non cedere all’influenza del cieco ottimismo. Ricordate sempre che l’epidemia è più forte di una tigre». All’aeroporto di Nanchino schieramento sanitario massiccio: la mano d’opera per i controlli non manca qui, anzi abbonda e bisogna trovarle un’occupazione come la vigilanza sui contagi di importazione.

Personale in tuta porge una quantità di fogli da riempire, altri questionari identici si compilano sul telefonino: questa duplicazione cartacea e tecnologica forse è l’estremo tentativo della burocrazia imperiale cinese di resistere al progresso. Dopo l’identificazione e le certificazioni varie (da che città si viene, niente tosse, niente febbre, niente vomito, nessun sintomo, nessun contatto con infetti nei precedenti quattordici giorni), ti scortano a fare un nuovo tampone. Alla fine di queste procedure sanitarie, l’ultimo passaggio in dogana per foto, impronte digitali e controllo passaporto dà una sensazione di sollievo.

A gruppi, i trecento reduci dall’Italia vengono inviati in pullman verso un Hotel della Quarantena alla periferia di Nanchino. La reception è presidiata da personale ospedaliero in tuta che ha una pila di nuovi documenti da firmare, impegni da prendere (pena sanzioni non meglio precisate). Poi in camera per la quarantena di due settimane, salvo spiacevoli complicazioni. Non c’è isolamento fiduciario nella procedura cinese: qui la fiducia nell’autocontrollo sanitario del cittadino non è prevista, si crede solo nella capacità di reazione all’epidemia del Partito. Dopo 14 giorni di osservazione medica, ci sarà il terzo e ultimo tampone.

Per tenere i contatti con il gruppo degli isolati la direzione sanitaria li iscrive d’ufficio a una chat. Identificativo di ciascuno è il numero di stanza. Da ieri e fino a nuovo ordine io sono 935. Entrare in una chat con qualche centinaio di cinesi in isolamento, senza niente da fare se non farsi passare il tempo e inveire contro il destino, è un’esperienza di vita. C’è chi lancia subito il panico perché ieri sono stati scoperti due casi di contagio «importato» su un volo atterrato poche ore prima del nostro. «Manca qualcuno?». «Ora ci porteranno tutti in ospedale?». Seguono raffiche di smentite e conferme, tutte altrettanto inattendibili. Poi parte la Catena di Sant’Antonio di proteste perché in camera fa freddo (effettivamente ci sono 18 gradi, anche se Nanchino è mille chilometri a Sud di Pechino). E finalmente arriva l’ora di pranzo: disgustoso per chi era abituato alla cucina italiana; qualcuno posta foto di un vermiciattolo nel blocco compatto di riso bollito.

Sono a carico degli isolati: 300 yuan a notte la stanza (38 euro); 100 yuan al giorno per colazione, pranzo e cena (12 euro).




5 pensieri su “Dopo averci portato il virus i cinesi fuggono dall’Italia: aerei carichi verso Pechino”

  1. Forse dopo di loro andranno via anche altri stranieri(tranne i delinquenti, purtroppo) .
    Naturalmente dopo aver spremuto l’Italia come un limone.

I commenti sono chiusi.