“È vero, mi sono convertita all’Islam“, avrebbe ammesso Silvia Romano. “Ma è stata una mia libera scelta, non c’è stata nessuna costrizione da parte dei rapitori che mi hanno trattato sempre con umanità”. “Non è vero invece che sono stata costretta a sposarmi – ha assicurato -, non ho avuto costrizioni fisiche né violenze”.
Alberto Vecchi, ambasciatore italiano in Somalia, stupito dalle condizioni in cui ha trovato Silvia: “Mi sarei aspettato una persona più tesa e invece mi è sembrato che nonostante tutto ne sia uscita bene“, ha premesso Vecchi, che la ha accolta nella sede a Mogadiscio.
“Non ne abbiamo parlato, il fatto che non abbia voluto cambiare gli abiti che aveva può significare molte cose, una consuetudine acquisita in questi mesi, non necessariamente motivazioni di altro tipo”. Così l’ambasciatore italiano in Somalia, Alberto Vecchi, ha risposto all’Adnkronos alla domanda se gli risulti che Silvia Romano si sia convertita all’Islam e che per questo abbia voluto continuare a indossare gli abiti tradizionali somali che aveva al momento della liberazione. L’ambasciatore ribadisce poi di essere rimasto colpito dalla sua forza d’animo, “questa mattina era tutta sorridente, contenta, ha reagito molto bene e ha raccontato di aver dormito benissimo nella stanzetta della foresteria dell’ambasciata che le abbiamo messo a disposizione“. E poi ieri sera “abbiamo mangiato la pizza che lei aveva chiesto, non era il massimo, abbiamo fatto quello che si poteva”, conclude Vecchi.
Fonti somale contattate dall’Adnkronos confermano poi la conversione della volontaria, riferendo che potrebbe essere questa la ragione della “prudenza” usata dalla giovane nel rispondere alle domande degli investigatori locali al momento della liberazione. Silvia Romano, che era vestita all’islamica quando è stata prelevata sulla strada Afgoye-Mogadiscio dagli 007 somali e turchi, a quanto spiegano le stesse fonti, sarebbe stata infatti molto cauta, non fornendo indicazioni utili sui suoi sequestratori, secondo quanto riferito dalle fonti di Mogadiscio.
Tutte circostanze ovviamente da prendere con la dovuta cautela e che dovranno trovare riscontro nell’interrogatorio della ragazza da parte dei pm romani. Anche perché sarebbe più che plausibile, da un lato, una riservatezza con i somali dovuta alla naturale paura provata nei concitati momenti della liberazione e al desiderio di parlare direttamente con gli investigatori italiani, dall’altro che la stessa conversione possa trovare ragione nell’interesse della cooperante a non far indispettire i suoi sequestratori in vista di un possibile rilascio.
Rilascio per il quale, secondo funzionari vicini al ministro degli Esteri somalo, Ahmed Isse Awad, l’Italia avrebbe pagato ai rapitori afroislamici una cifra vicina i 4 milioni di euro.
A questo punto, il governo italiano deve chiedere all’Ong Africa Milele, che ha mandato una ragazzina, sola, al confine con un territorio infestato da terroristi afroislamici, il rimborso. Sorprende anzi che nessun magistrato abbia indagato questa ong per avere agito in modo così sconsiderato. Provocando prima un dramma, e ora un danno finanziario all’Italia. In un momento in cui ci sono tanti italiani alla fame.
Una cosa è certa: basta volontari in zone di pericolo. Se decidono di farlo lo stesso, siano consapevoli che poi sono cazzi loro.